IL
RISPETTO DELLA VERITÀ
Provo
grande amarezza nel vedere com'è stata riportata su un quotidiano una vicenda
che riguarda il mio rapporto con Filippo Lazzara. In questi anni mi sono sempre
imposto, a fronte di dicerie e cattiverie arrivate da più parti, di tacere per
rispetto della fragilità di Filippo. Ora però, anche per il rilievo pubblico
che Filippo Lazzara ha inteso fare assumere alla vicenda, credo sia necessario
fare chiarezza e sgombrare il campo da molte falsità.
Prima
di entrare nel merito, è però necessario delineare il contesto in cui
s'inserisce la vicenda. Ormai da quasi cinquant'anni il Gruppo Abele cerca di
dare una mano alle persone in difficoltà, senza fare distinzioni né selezioni,
tenendo sempre la porta aperta. È una scelta alla quale siamo rimasti fedeli
benché non sempre l'accoglienza abbia trovato le migliori condizioni per
realizzarsi, a volte per il carattere delle persone, a volte per i nostri
limiti a capirle, altre volte ancora per fattori che non dipendono dagli uni o
dagli altri ma che fanno semplicemente parte della vita e del suo imprevedibile
svolgersi.
Se
non si tiene conto di questo è difficile capire l'accaduto senza incorrere in
inesattezze, giudizi sommari, ricostruzioni inattendibili o motivate da scopi
non propriamente nobili.
Filippo
e la compagna Antonietta scrivono una prima volta al Gruppo Abele, a Libera e
alla mia attenzione il 17 giugno 2010. Parlano dei loro tentativi, andati a
vuoto, di costruirsi un futuro in Sicilia. (...) «Scottati di dare perle ai
porci non optiamo per le ghiande ma, da "coppia" che urla nel
deserto, invochiamo aiuto tendendovi le mani con la provvidenziale speranza che
le prendiate e ci aiutate tirandoci su da voi, non solo metaforicamente ma di
fatto... disponibili a tutto pur di farci una famiglia».
Accogliamo
l'invocazione di aiuto. Incontro Filippo e Antonietta durante una mia trasferta
in Sicilia, e mi offro di cercare una soluzione ai loro problemi. All'inizio di
settembre Filippo e Antonietta vengono accolti nella Certosa di Avigliana, la
struttura residenziale nella quale il Gruppo svolge le sue attività di
formazione, all'epoca ancora in via di completamento dal punto di vista
dell'abitabilità, dell'organizzazione del lavoro e del progetto culturale.
Fin
da subito, però, iniziano i problemi. Filippo è impulsivo, conflittuale,
indisponibile a stabilire un rapporto rispettoso con le persone che lavorano in
Certosa, dagli operatori agli operai impegnati nel cantiere. Un giorno arriva a
minacciare un muratore colpevole secondo lui di importunare la sua ragazza.
Ma
non si tratta solo di diverbi o atteggiamenti aggressivi. Filippo è preda di
vere e proprie fissazioni. Più volte i Carabinieri di Avigliana vengono
chiamati perché lui assicura di aver visto aggirarsi presenze ostili, un'altra
volta è dovuta intervenire una funzionaria della Questura di Torino. Gli
allarmi si rivelano sempre infondati.
Vista
la situazione, il 7 novembre 2010 Filippo e Antonietta vengono trasferiti a
Torino in un appartamento in uso al Gruppo Abele. Di lì a poco, Antonietta
verrà regolarmente assunta in uno dei nostri progetti educativi, mentre si
continua a cercare per Filippo, dentro o fuori al Gruppo, una collocazione
idonea. Ciò nonostante l'atteggiamento da parte sua non cambia.
Me
ne rendo conto io stesso il 16 novembre 2010, pochi giorni dopo il
trasferimento a Torino, quando ricevo un lungo messaggio nel quale mi
rimprovera aspramente di non aver risposto subito a una sua richiesta di
colloquio. A colpirmi è però soprattutto il passaggio in cui, rievocando le
difficoltà incontrate in Sicilia, scrive di aver «praticato sul campo, come
forza civile e sociale, antimafia e giustizia, scottandomi arrabbiandomi. In
prima persona e senza ricerca di poltrone effimere ma di opinione opere e
coscienza critica! Subendo denigrazioni, alcune cercate da me, per creare il
"personaggio" e per "guasconamente" disarmare "o'
sistema"». E un altro in cui, parlando della situazione che aveva creato
in Certosa, scrive: «tu, anziché verificare in prima persona e/o magari "premiarmi",
ascolti chi non ha facoltà di farsi un'idea di me, perché banalmente piccolo di
strutto o di pensiero».
Sono
segni di un preoccupante egocentrismo, tale da falsare la percezione della
realtà. Ma la nostra storia di accoglienza è piena di storie difficili, e come
sempre decidiamo di scommettere sulla persona nella speranza che la vita
quotidiana e il progressivo coinvolgimento portino a sciogliere nodi e smussare
asperità.
Nel
caso di Filippo purtroppo non accade. Continuano le pretese, le rimostranze, le
ossessioni.
E nei miei riguardi il tono comincia a farsi minaccioso, come
testimoniano diversi sms recuperati dalla memoria di un mio vecchio telefono
cellulare.
«A
parte stimarti, ti reputo corresponsabile della mia situazione» (sms del 30
gennaio 2011); «Non capisco cosa è successo... ma personalismi, autoritarismi,
dittature con me no! A venir su ci ho messo la faccia. Se ce la rimetto io non
sarò il solo a rimettercela!». (sempre 30 gennaio 2011); «Hai creduto a gente
che non è degna di essere appellata della famiglia dei suini!» (2 marzo 2011).
Con
queste premesse, venerdì 4 marzo 2011 arriva un messaggio che anticipa ciò che
"bolle in pentola" e che si sarebbe verificato quasi tre anni dopo:
«Non ho più niente da perdere, mi dispiace, ma ciò che accadrà non sarà colpa
mia, non volevo ciò, ma la colpevole indifferenza è una dichiarazione personale
di guerra! E guerra sia! Saluti dalle redazioni di Libero e Padania... ».
All'incontro
fissato per il giorno successivo, sabato 5 marzo 2011, Filippo arriva carico di
aggressività. La stanchezza e il suo atteggiamento provocatorio mi fanno
perdere la calma. Preciso però che non ho "preso a cazzotti" nessuno,
come è scritto nell'articolo di "Libero", tantomeno ho dato
"pugni in faccia", come invece si dirà nella denuncia ai Carabinieri.
L' ho allontanato con molta decisione, come farebbe un fratello maggiore
esasperato dall'insolenza del fratello più piccolo.
Il
giorno dopo, con lo stesso spirito fraterno con cui avevo posto freno alla sua
aggressività, gli scrivo la lettera che ha reso pubblica, nella quale mi scuso
con lui, gli faccio notare che quel suo modo di fare non favoriva certo una
pacata discussione, gli ribadisco che la Certosa non era il posto più adatto
per lui e lo invito a rivederci il sabato successivo per ricostruire insieme un
progetto: «senza pretese e con reciproca disponibilità».
Il
7 marzo 2011 Filippo risponde: «La scorza ce l'ho dura!... E poi un po'
provocatore lo sono! A volte anche per attirare l'attenzione! Volentieri per
sabato alle 18! Speriamo che con il GIORNALE niente accada... Il tuo gesto un
po' fragile ti rende più grande e grandissimo nel chiedermi scusa. Chiedo scusa
per il caos a te e a quanti in buonafede».
La
stessa sera, pero'. si reca al pronto soccorso dell'Ospedale Maria Vittoria di
Torino. "Riferisce lesioni" è scritto nei referti. Ma gli stessi
referti, in seguito agli esami predisposti (TAC e raggi al ginocchio sinistro)
non evidenziano alcun danno.
Il
12 marzo 2011 ci rivediamo alla sede del Gruppo Abele e c'impegniamo insieme a
cercare un lavoro a Torino. Nel frattempo, vista la sua fragilità, gli
consiglio di essere seguito da uno psicoterapeuta e da un neurologo che lo
sorreggano e aiutino nei suoi momenti di difficoltà: Filippo accetta il
consiglio.
La
ricerca del lavoro non ottiene però i frutti sperati, e allora - anche su
consiglio dei medici, convinti che la situazione di Filippo richieda un
contesto diverso - mi offro di sostenerlo anche economicamente per il tempo che
sarà necessario nel suo ritorno in Sicilia e nella sua ricerca di altre
opportunità di vita. I vaglia e bonifici spediti tra la fine di giugno e la
fine di ottobre sono lì a dimostrarlo. Non mi pare il comportamento di chi
voglia abbandonare una persona, tanto meno fargli «terra bruciata attorno»,
come è scritto nell'articolo.
Nel
luglio del 2011 Filippo e Antonietta tornano in Sicilia, ma prima, il 3 giugno
2011 alle 22.25 (ossia poche ore prima dello scadere dei 90 giorni entro i
quali deve essere presentata una denuncia/querela) Filippo si reca alla
stazione dei Carabinieri Torino-Monviso di via Valfré per riferire ciò che è
avvenuto il 5 marzo 2011. La denuncia/ querela contiene diverse falsità - dai
"pugni in faccia" mai ricevuti, all'interruzione del rapporto con la
Certosa, "per motivi di ristrutturazione" - e viene prudentemente
ritirata nei giorni successivi.
Nel
frattempo continuano i messaggi, ma il tono e il linguaggio mutano
radicalmente. «Ti ringrazio per il tentativo, per l'ospitalità e per
Antonietta. Mi spiace per come è andata, e per certe falsità che ho sentito...
Ma tu non c'entri con tutto ciò!» (24 settembre); «Grande Luigi, auguri a te e
quanti con te lo passeranno. Auguri anche a tutta la gente che tramite te,
Libera e Gruppo Abele, ho conosciuto a Torino, anche quelli con cui non ci si è
capiti, anzi soprattutto quelli». (25 dicembre 2011); «Ti voglio bene, sono
vero, e ti saluto col cuore!». (17 gennaio 2012).
Per
tutto il 2012 seguono altre mail dal tono sempre affettuoso. Incomprensibile è
adesso, invece, il diverso atteggiamento di Filippo Lazzara, che da un lato
invia mail dai toni concilianti e dall'altro decide di pubblicare quella
lettera ormai datata e, direi, "superata" dai fatti, gli stessi fatti
a cui ho cercato di dare parola in una ricostruzione motivata dal semplice
rispetto della verità. Verità che, a malincuore, mi trovo costretto a difendere
anche in sede giudiziaria, non tanto per me stesso ma per la storia di realtà,
il Gruppo Abele e Libera, che in questi anni si sono caricate sulle spalle le
speranze di tante persone e non meritano di ricevere in cambio insulti.
Che
riflessioni s'impongono a questo punto? Credo sostanzialmente due.
La
prima riguarda l'etica dell'informazione. Prima di pubblicare - e soprattutto
quando le notizie riguardano la vita e i sentimenti delle persone - credo che
sia necessario approfondire, capire i fatti nelle loro molteplici
sfaccettature, nei loro aspetti spesso contraddittori. Se chi ha scritto quelle
cose avesse avuto qualche sano dubbio e avesse sentito tutte le
"campane" (magari venendo a verificare di persona come si svolge
l'accoglienza al Gruppo Abele e a Libera) si sarebbe reso conto delle
difficoltà di Filippo e avrebbe avuto qualche scrupolo prima di amplificare gli
aspetti più fragili del suo carattere. Ma qualche scrupolo sarebbe il caso se
lo facessero venire anche tutti quelli che, fuori dal mondo dell'informazione,
hanno assecondato e strumentalizzato Filippo senza fare nulla di concreto per
risolvere le sue difficoltà.
La
seconda riflessione riguarda il nostro impegno.
Episodi
come questo amareggiano e ti fanno venire la tentazione di diventare più
selettivo, più diffidente. In una parola: più avaro. Ma è una tentazione che
dura un solo istante. Voglio rassicurare tutti (e anche Filippo, innanzitutto)
che il Gruppo Abele e Libera continueranno nella loro attività con la stessa
fiducia, disponibilità, voglia di scommettere sulle persone, sulla loro sete di
dignità e libertà. Ma anche con la stessa coscienza dei limiti, con gli stessi
dubbi fecondi che hanno sempre accompagnato il nostro cammino.
È
il nostro "esserci": fare insieme agli altri, facendo dunque anche
errori, perché solo chi non fa è impeccabile. Ma sempre mettendoci in gioco,
con onestà e passione, senza mai fermarsi alla superficie delle persone e delle
cose.
d.
Luigi Ciotti