"Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo"

Paolo Borsellino

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

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ROMA LO SPAZIO CONTESO




ROMA

LO SPAZIO CONTESO 





di Emilio Fabio Torsello

Roma città aperta.  Alle mafie. La Capitale, dove solo nel 2011 ci sono stati oltre trenta omicidi, è sempre più terra di conquista per la criminalità organizzata. Dalla droga, all’edilizia, al gioco d’azzardo, all’usura, all’infiltrazione nelle attività commerciali, la Città eterna è da anni terreno fertile dove ognuno può arare la propria parte di orto. Una pax mafiosa turbata – almeno in apparenza – dalla serie di omicidi che ha sconvolto la città e messo in allarme cittadini romani e istituzioni.
Per capire quanto, in quale modalità e da quali mafie Roma sia stata “infiltrata” è utile andare a rileggere le carte della Commissione parlamentare antimafia che nel settembre scorso ha ascoltato sull’argomento i pm della Dda romana e il prefetto Giuseppe Pecoraro. Una panoramica – quella fatta dagli inquirenti – che tenta di dare anche una spiegazione degli omicidi avvenuti in città.
La criminalità e il contesto sociale. «Con un tasso di disoccupazione che nel Lazio sfiora il 9% (il 30% tra i giovani) – afferma il prefetto il terreno di insediamento delle mafie è quantomai fertile». Ma a creare canali privilegiati per le infiltrazioni criminali è soprattutto la crisi economica che a Roma e nel Lazio sta letteralmente falciando centinaia di aziende. Secondo i dati di Confcommercio Roma e Lazio diffusi nell’aprile scorso dal presidente Giuseppe Roscioli, «nella graduatoria completa che indica il numero di fallimenti, il Lazio è al secondo posto con 1.215 dopo la Lombardia. E nel 2011 – ha proseguito – quasi un fallimento su tre è stato causato da ritardi nei pagamenti. Si stima che in Italia l’ammontare complessivo dei crediti vantati dalle imprese fornitrici verso la Pubblica amministazione sia di circa 60 miliardi di euro. Un macigno che pesa soprattutto sulle piccole e medie imprese, impedendo loro di scommettere anche sul breve e medio termine. Indubbiamente – ha spiegato – anche la crisi economica ha contribuito ad aggravare questa situazione. Infatti, il trend dei ritardi in Italia in questi ultimi quattro anni è quasi raddoppiato (+97,5%)». Mentre secondo la Cna Commercio di Roma, nei soli primi tre mesi del 2012 hanno già chiuso un migliaio di negozi al dettaglio.
In un contesto sociale ed economico così fragile, le mafie hanno quindi gioco facile nel rilevare le aziende in crisi, immettere capitali frutto di attività illecite nelle casse delle imprese che così diventano – loro malgrado – “lavatrici” per i soldi sporchi delle mafie. Il tutto – come spesso accade – senza cambiare ragione sociale, titolare o nome all’impresa. Una prassi che il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia di Roma, Diana De Martino, così descriveva nel maggio scorso durante un’audizione presso la regione Lazio: «Come nelle altre regioni a tradizionale presenza mafiosa, in alcuni casi nel Lazio si assiste a un’infiltrazione della malavita organizzata nell’economia, anche attraverso un modello criminale di derivazione economica, dove gli imprenditori si mettono spontaneamente al servizio delle mafie, oppure sono gli stessi mafiosi a operare come gli imprenditori».
Ma la Capitale è anche caratterizzata da un crescente sviluppo urbanistico tale che nella provincia di Roma risiedono circa cinque milioni di persone, di cui – secondo i dati forniti dal prefetto – almeno 700mila stranieri. Un contesto che, afferma Pecoraro, «impone necessariamente una revisione della mappa dei presìdi territoriali delle forze dell’ordine», ma che si scontra con una drammatica carenza di uomini e mezzi, spostati – di volta in volta – nelle zone più “a rischio” e con la chiusura di diversi commissariati cittadini.
La mappa criminale. Nell’elencare le presenze sul territorio romano e laziale, il prefetto parte da Cosa nostra. Sebbene se ne parli ormai poco, la mafia siciliana è attiva e presente a Roma: «Le attività primarie dei sodalizi operanti in Roma – spiega il prefetto – si situano in un vasto insieme di condotte che spaziano dal traffico internazionale di sostanze stupefacenti, al reimpiego dei capitali illeciti nei settori commerciali, immobiliari e finanziari, al commercio delle autovetture. Si rileva la presenza degli Stassi, contigui alla famiglia trapanese degli Accardo, con interessenze in numerosi esercizi di ristorazione». Mentre sul litorale sono stati rilevati «altri gruppi criminali di origine siciliana, quali il gruppo Triassi, collegato alla nota famiglia Cuntrera-Caruana, e Picarella (cosca agrigentina di Porto Empedocle), interessati all’affidamento e alla gestione dei lotti di spiaggia libera del litorale di Ostia, nonché a gestire il narcotraffico».
Nella zona di Civitavecchia, invece, nell’ambito dell’operazione “Civita-Memento” sono state riscontrate le attività delle famiglie gelesi dei Rinzivillo ed Emmanuello, interessate all’acquisizione di subappalti e fornitura di manodopera per i lavori della centrale di Torrevaldaliga Nord.
Ben più presente e ramificata 
la ’ndrangheta, con attività che vanno dalla ristorazione e dalla gestione dei locali del centro storico, al traffico di droga, a traffici illeciti di diversa natura. È ancora il prefetto a fare il quadro della situazione: «La penetrazione criminale di tale organizzazione mafiosa di origini calabresi ha avuto, secondo le tendenze palesatesi negli ultimi anni, un’accresciuta vitalità grazie alla presenza sul suolo laziale di gruppi collegati all’organizzazione madre, della quale hanno mantenuto la fisionomia comportamentale, permeata del notorio carattere misterico-religioso, rituale e simbolico, fatta di stretti legami familiari aventi vincoli di sangue, di estrema cautela nel muovere le fila organizzative, di costanti collegamenti con i territori di origine».
Nella capitale sono presenti i rappresentanti di tutte le maggiori cosche calabresi, con «personaggi riconducibili alle famiglie mafiose calabresi Piromalli, Molè e Alvaro – spiega Pecoraro – che reinvestono copiosi capitali di provenienza illecita in attività commerciali, sbaragliando la normale concorrenza con conseguente alterazione degli equilibri del mercato». Gli Alvaro-Palamara, sottolinea il prefetto, si sono specializzati nella «costituzione di società fittizie aventi per oggetto la gestione di bar, paninoteche, pasticcerie e ristoranti; circostanza, questa, favorita dalle dimensioni e dalla vastità di Roma, che favoriscono l’anonimato». Molti di questi, nel centro storico, letteralmente spartiti con la camorra per quel che riguarda il controllo delle attività commerciali. Un dato sottolineato da Pecoraro: «Alcuni rappresentanti degli Alvaro-Palamara, che nell’arco di pochissimo tempo si sono trasformati da piccoli artigiani locali a imprenditori di primissimo livello, hanno reinvestito ingenti capitali verosimilmente provenienti da traffici di droga attuati sull’asse Germania-Italia, per conto della cosca di appartenenza, comprando esercizi di ristorazione nella zona di Roma centro, con prezzi di acquisto nettamente inferiori al valore reale di mercato degli esercizi in questione. Tra gli esercizi commerciali sequestrati, risultano alcuni noti bar situati in centralissime zone della capitale, tra cui lo storico “Café de Paris”, il ristorante “George’s” e altri importanti locali operanti nel settore della ristorazione (vedi il Gran Caffé Cellini, il ristorante La Piazzetta, il ristorante Colonna Antonino, ndr), nei cui assetti societari si sono insinuati esponenti delle citate famiglie».
È un’infiltrazione silenziosa, quella delle mafie, che non spara ma fa leva sulla grande disponibilità di denaro delle cosche, sempre pronte a venire in soccorso di imprenditori in difficoltà. Ed è nel giugno dello scorso anno che scatta una delle più importanti operazioni ai danni di esponenti calabresi della ’ndrangheta nel Lazio, con il sequestro di quote di 18 società intestate a Domenico Greco, ritenuto contiguo alla ’ndrina dei Gallico di Palmi (Reggio Calabria) con un ruolo – secondo gli inquirenti – di fiancheggiatore, tra cui l’Antico Caffè Chigi, una villa di 29 stanze a Formello, due appartamenti a Fiumicino, conti correnti e rapporti finanziari, per un valore complessivo di circa 20 milioni di euro. Il referente della cosca, come ha dichiarato il colonnello Paolo La Forgia, capo del centro Dia di Roma, «ufficialmente era un saldatore».
Roma, trampolino per la conquista del Lazio. Allargando il cerchio poco fuori Roma, nel circondario di Velletri, Nettuno – sciolto per infiltrazioni mafiose a fine 2005 – e Anzio, operano esponenti legati ai Novella e ai Gallace di Guardavalle, attivi nel settore dell’edilizia, delle truffe alle assicurazioni, nel traffico di stupefacenti e di armi. «Le nuove indagini sulla ’ndrina di Nettuno – ha spiegato Pecoraro – che, pur mantenendo costanti collegamenti con la cosca madre godeva di ampi margini di autonomia, hanno accertato che, dopo la rottura della storica alleanza tra le famiglie Gallace e Novella, la prima stava tentando di riorganizzarsi nel litorale romano grazie ai supporto delle famiglie Andreacchio di Nettuno e Romagnoli-Cugini di Roma». Mentre Enzo Ciconte, già presidente dell’Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità della regione Lazio ricorda come «già nel 2007 in altri tre centri (Pomezia, Formia, Minturno) indagini delle forze dell’ordine individuarono tentativi di infiltrazione e condizionamento del tessuto politico o amministrativo locale da parte delle organizzazioni criminali».
Ma la ’ndrangheta ha anche tutta una rete di fiancheggiatori, funzionali a creare una base operativa e di supporto a quanti giungono nella regione. Nella zona di Tivoli e Palestrina, ad esempio, alcune famiglie calabresi legate alla ‘ndrina attiva nella zona di Sinopoli, secondo quanto spiega il prefetto, «non pongono in atto comportamenti criminali ma fungono da punto di riferimento per le attività economiche della ’ndrina, e danno occasionalmente supporto a soggetti provenienti dalla terra di origine». Una sorta di piattaforma organizzativa e logistica, un trampolino verso la prosecuzione delle attività nella capitale e nel Lazio.
Secondo quanto emerge dalla relazione, inoltre, anche i comuni a nord di Roma registrano la presenza di elementi collegati a formazioni criminali di origine calabrese della zona di Reggio Calabria (Africo, Melito Porto Salvo, Bruzzano Zeffirio), alcuni dei quali pregiudicati per reati associativi. Si tratta di famiglie tra loro legate da rapporti di parentela e residenti a Rignano Flaminio, Castelnuovo di Porto, Morlupo e Campagnano di Roma, tutti comuni che “circondano” la capitale, sulla direttrice verso Firenze.
La Camorra va sul litorale. Una delle maggiori operazioni – coordinata dalla Dda di Napoli – è quella del marzo 2011 ai danni del clan Mallardo di Giuliano, che ha portato al sequestro di circa 900 immobili, 23 aziende commerciali, circa 200 rapporti bancari e numerose auto e moto di lusso, per un valore complessivo stimato di oltre 600 milioni di euro. Gli inquirenti hanno scoperto due holding imprenditoriali operanti tra Roma, Latina e Napoli. Oltre alla Capitale, il clan operava nella zona di Mentana, Monterotondo, Sant’Angelo Romano, Fonte Nuova, Guidonia, Fiano Romano, Capena e Montecelio. Il centro dell’organizzazione era a Fonte Nuova, comune nato poco più di dieci anni fa, il 15 ottobre 2001. «Una cellula operativa del predetto clan – spiega Pecoraro – si era infiltrata nel mondo dell’imprenditoria lecita, in particolare nel settore edilizio, e aveva costituito, grazie alla collaborazione di soggetti esperti e fidati, numerose società immobiliari, operando anche in accordo con esponenti del clan dei casalesi in una sorta di joint venture criminale. L’organizzazione controllava, inoltre, la lavorazione e la distribuzione del caffè Seddio, anche attraverso imposizioni di tipo estorsivo, nonché a mezzo di prestanome, agenzie di scommesse sportive ed attività di commercio all’ingrosso di prodotti medicali e parafarmaceutici».
E tra gli esponenti di spicco della camorra arrestati a Roma, Emilio Esposito, facente capo ai Casalesi, arrestato il 23 luglio scorso in zona Tiburtina.
Particolarmente “caldo” il litorale romano. Nella zona di Acilia, ad esempio, viene tenuta sotto osservazione la famiglia degli Iovine, il cui capo Mario Iovine, nipote del noto boss di camorra appartenente all’area dei casalesi, secondo il prefetto «ha da tempo creato una vera e propria base logistica per avviare attività di copertura nell’ambito della gestione di sale da gioco (videopoker e scommesse on-line) e della ristorazione, in modo da poter svolgere in tranquillità quelle illecite, stringendo forti legami anche con elementi della criminalità locale e fornendo appoggio logistico a latitanti di camorra, tra i quali, sembrerebbe, Antonio Iovine», arrestato nel novembre 2010 dopo quasi quindici anni di latitanza.
Nelle zone di Ladispoli, Cerveteri, Santa Marinella e Civitavecchia, invece, è stata accertata la presenza di sodalizi camorristici attivi nel narcotraffico, una compagine criminale molto attiva anche nella zona di Fondi, Latina, Aprilia e più in generale nel Pontino.
Il clan Senese. Ma tra le famiglie più importanti che hanno segnato in modo irreversibile gli ultimi anni della storia criminale della capitale, c’è il clan Senese. Proprio l’arresto di Michele Senese, infatti, ha lasciato un vuoto nel mercato dello spaccio di stupefacenti che diverse bande starebbero ora tentando di colmare a forza di omicidi e gambizzazioni. Il 21 gennaio 2009, a Roma, a conclusione dell’operazione denominata “Orchidea”, i carabinieri del raggruppamento operativo speciale (Ros) disarticolarono una ramificata struttura criminosa dedita al traffico internazionale di hashish e cocaina, proveniente da Olanda e Spagna. A capo del sodalizio c’era Senese Michele, di cui – si legge nella relazione della Commissione parlamentare antimafia – erano «ben noti i legami camorristici con i vertici della famiglia Moccia di Afragola per conto della quale, negli anni Ottanta, unitamente ad altri membri del suo entourage familiare, ha militato nella storica confederazione camorristica denominata “Nuova Famiglia”».
La criminalità “locale”. Ex Banda della Magliana, Casamonica, Fasciani. Roma ha un nutrito numero di “famiglie” e organizzazioni criminali storiche ancora molto attive sul territorio. Oltre a ex esponenti della Banda della Magliana – dediti soprattutto alle rapine e al traffico di stupefacenti – i Casamonica sono gli usurai storici della Capitale, dediti anche – come hanno evidenziato numerose indagini – al commercio di droga. Insieme a loro, i Fasciani, attivi soprattutto sul litorale e in contatto con la famiglia Nicoletti. E proprio l’operazione “Los Moros-Madara” del Comando provinciale dei carabinieri nel 2009 ha disarticolato un “sodalizio criminoso dedito al narcotraffico internazionale che aveva come base di riferimento il noto stabilimento balneare di Ostia denominato “Village”, con annessa discoteca e ristorante, tutto riconducibile al pregiudicato Carmine Fasciani, elemento apicale della criminalità romana”.
Le mafie straniere. La criminalità straniera nel Lazio – spiega Pecoraro – si atteggia su due direttrici: «La prima – che interessa i gruppi organizzati serbo-montenegrini, nigeriani, albanesi, rumeni e sudamericani – opera soprattutto nei crimini tradizionali quali il traffico di stupefacenti, il racket della prostituzione, le rapine; la seconda – costituita essenzialmente dai cinesi – agisce all’interno del circuito commerciale e finanziario connesso alla contraffazione e al contrabbando delle merci». Tra le operazioni di rilievo, “Città proibita” che, nel gennaio 2011, ha portato al sequestro preventivo di beni per nove milioni di euro, accumulati da un’associazione criminale con base nella Capitale, composta da cinesi e dedita all’importazione e alla commercializzazione di oggetti contraffatti.
Money transfer e rimesse. Un capitolo a parte meritano i money transfer (vedi intervista p. 46), principali canali di invio di rimesse all’estero, da sempre sotto la lente della polizia tributaria. Attraverso le filiali money transfer, infatti, spesso viene inviato all’estero denaro frutto di attività illecite o – di contro – vengono pagate merci contraffatte spedite in Italia per cui non è possibile emettere fattura. E numerose sono state le operazioni della Guardia di finanza che hanno evidenziato pratiche scorrette durante l’invio di denaro: ingenti somme parcellizzate al di sotto della soglia massima consentita, destinatari o mittenti fittizi, documenti falsi ecc.
Per rendersi conto del volume di denaro inviato dagli stranieri residenti in Italia verso l’estero, basti pensare che nel 2011 dal nostro paese sono usciti 7,4 miliardi di euro. Secondo i dati diffusi dalla Fondazione Moressa, tra tutti i paesi la Cina è quello a cui viene inviato il maggior volume di rimesse con 2,5 miliardi di euro, seguito da Romania (894 milioni di euro), Filippine (601 milioni di euro) e Marocco (299 milioni di euro). Le principali nazioni di destinazione mostrano un aumento nell’ultimo anno, ad eccezione delle Filippine che mostrano un -19,1%. Per la Cina la variazione si attesta addirittura al +39,7%, per la Romania si tratta del +3% e per il Marocco il +5,8%. Quanto a rimesse procapite, ciascun cinese residente in Italia invia in patria poco più di 12mila euro a testa, il valore più elevato tra tutte le nazionalità. Questo significa che ogni cinese in Italia “mantiene” 3,9 cinesi in Patria e che a livello complessivo si tratta di oltre 800 mila di cinesi. Roma è la provincia dalla quale defluisce il maggior volume di rimesse verso l’estero: si tratta di 2 miliardi di euro, pari a oltre un quarto di tutte le rimesse che escono dall’Italia. Seguono a ruota Milano, Napoli e Prato.
E spesso gli ingenti invii verso la Cina nascondono in realtà pagamenti di merce contraffatta o sono il frutto della vendita di prodotti non originali. Nel febbraio 2010, ad esempio, presso alcuni capannoni della periferia romana, vennero ritrovate 500mila tonnellate di merce (soprattutto capi di abbigliamento, calzature e occhiali), proveniente dalla Cina, in gran parte contraffatta o di contrabbando, contenente in alcuni casi cromo esavalente, altamente tossico.
Tra le attività più redditizie delle mafie straniere, lo sfruttamento della prostituzione. Nel 2011 la questura di Roma, con le operazioni “Grande capo”, “China house” e “Said”, ha portato a termine tre importanti indagini che hanno consentito di sgominare associazioni a delinquere gestite da cittadini di nazionalità cinese, rumena e, in un altro caso, magrebina, dedite allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, attive anche su altre province del Lazio tra cui Frosinone e Latina. In alcuni casi, come nell’operazione “Said”, il sodalizio criminale era impegnato nella ricettazione e nell’utilizzo di documenti falsi e di permessi di soggiorno rubati.
«I colombiani – spiega Pecoraro descrivendo una panoramica dei rapporti criminali tra mafie straniere e italiane sul territorio romano – agiscono in collegamento diretto con elementi della ’ndrangheta calabrese. I cinesi hanno rapporti con sodalizi criminali vicini ad ambienti di camorra (tant’è che viene utilizzato principalmente il porto di Napoli) nell’attività di import-export delle merci contraffatte, contrabbandate e tossiche e di successivo reinserimento sul mercato. I nigeriani si relazionano con altri gruppi italiani, specialmente camorristi, per il traffico di droga. Gli slavi (ungheresi, rumeni e bulgari) sono in contatto con la criminalità organizzata russa per gli skimmer, cioè la clonazione di bancomat e carte di credito».
Gli omicidi nella Capitale. Pecoraro conclude spiegando le cause dei numerosi omicidi avvenuti a Roma nel 2011. All’epoca della sua relazione alla Commissione, nella capitale erano stati registrati 27 morti ammazzati. I fatti, secondo il prefetto, non sono però ascrivibili «ad attività conflittuali interne alla criminalità organizzata. Questa è sintomatica, peraltro solo per alcuni di essi, del tentativo da parte di criminali locali emergenti di occupare spazi determinati dalla disarticolazione dei gruppi delinquenziali più importanti operata dalle attività poste in essere dalle forze di polizia, in particolare nel settore degli stupefacenti. Non a caso si faceva riferimento alla cattura nel 2009 del camorrista Michele Senese che a Roma era il boss degli stupefacenti. La situazione – prosegue il prefetto – incoraggia alcune neo-costituite strutture delinquenziali nel ridisegnare in proprio favore gli equilibri e i poteri nella gestione di attività delittuose. In considerazione di quanto sopra, non essendoci soggettività criminali in grado di assumere un ruolo egemone, i vuoti aperti vengono colmati da una nuova generazione di criminali, violenti, meno riflessivi, più inclini all’esercizio della forza che alla mediazione, soliti ricorrere alle armi per gestire le dinamiche conflittuali con i gruppi o soggetti ostili».


Fonte Narcomafie.it  21 Giugno 2012

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