"Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo"

Paolo Borsellino

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

TRAGEDIA ANNUNCIATA. IL CROLLO DI UN MORRO DI CINTA DI UN BENE CONFISCATO, GRIDA SCANDOLO AD UNO STATO LATITANTE







TRAGEDIA ANNUNCIATA. IL CROLLO DI UN MORRO DI CINTA DI UN BENE CONFISCATO, GRIDA SCANDOLO AD UNO STATO LATITANTE

L'altro giorno è crollato il muro di cinta di un bene confiscato, a causa della pioggia, e nonostante i mille appelli dell'associazione libera, poco è stato fatto dall'amministrazione e dalle autorità competenti, sia a livello di prevenzione e manutenzione che a quello di controllo. Ecco la denuncia dell'associazione.

dalla Redazione del Presidio
 Afragola - Casoria



Tragedia sfiorata ad Afragola, l’altro ieri pomeriggio 21 Gennaio, nei pressi  di Via Arena.
A causa di una pioggia torrenziale è franato un muro di contenimento distruggendo due autovetture parcheggiate. Fortunatamente al momento del crollo non c’era nessun passante ed è stata evitata l’en- nesima vittima innocente
Potrebbe sembrare una scena da terzo mondo e invece, ormai da tempo, in queste zone si è abituati a questo tipo di crolli, al punto che la notizia non ha suscitato neanche l’opportuno sdegno sui media locali.

Quest’immagine è l’ennesimo triste capitolo di una storia senza fine che si perpetua su un territorio massacrato dal disastro urbanistico;  in zone dove la sicurezza è minacciata continuamente dal mancato rispetto di norme e dove purtroppo  la topografia del territorio è disegnata da decenni di un’aggressiva speculazione edilizia che, annodandosi  con interessi politico-criminali,  ha generato questa strutturale situazione di perenne emergenza di sicurezza abitativa. Tale degenerazione è messa in rilievo solo di sfuggita e in modo superficiale dai media, che mostrano un certo interesse alla cosa soltanto quando ci “scappa” il morto, come nel luglio del 2010, quando il crollo di una palazzina in via Calvanese, causò tre vittime
Ma c’è di più. L’episodio in questione racconta anche l’assenza di una cultura della legalità ovvero dell’indifferenza che colpisce trasversalmente la classe politica locale. Quel muro infatti appartiene alla recinzione del perimetro di un bene confiscato alla criminalità e, come tanti altri beni sottratti alla camorra, è stato affidato all’amministrazione comunale perché, ai sensi della Legge 109 del 1996, sia riutilizzato per fini sociali. E questo, come degli altri beni inutilizzati, abbandonati al disfacimento, divenuti discariche a cielo aperto o soggetti ad occupazioni abusive, il Presidio territoriale di Libera Afragola-Casoria lo ha pubblicamente denunciato e documentato anche con foto e filmati in una Manifestazione pubblica organizzata con il Consorzio S.O.L.E. il 12 aprile 2012, alla quale non mancò di intervenire lo stesso vicesindaco di Afragola, dott.Antonio Pannone. A seguito di tale convegno, lo scorso giugno, in un incontro, presso la Casa Comunale promosso dal vicesindaco Pannone, alla presenza di assessori e dirigenti del Comune si comunicava ai referenti di Libera territoriale, provinciale e nazionale (dott. Davide Pati) la convocazione, in tempi brevi di una Conferenza di Servizio onde poter valutare con precisione lo stato di fatto e, attraverso un lavoro sinergico con  le diverse realtà presenti sul territorio, avviare il riutilizzo dei beni confiscati alla camorra. Parole rimaste tali tant’è che, a tutt’oggi, tutto tace!
Il “bene” di Via Arena non è dunque un caso isolato: ad Afragola, come nei territori limitrofi, la  maggior parte dei beni confiscati è abbandonata, trascurata dalle diverse  amministrazioni  e negata alla collettività. Non raramente quei beni vengono occupati abusivamente da persone che, evidentemente, godendo della protezione  dei vecchi proprietari  (i quali, in taluni casi,  si dice, che addirittura continuino a ricevere l’affitto!), abbattono le recinzioni e ignorano i sigilli.
Misfatti che descrivono meglio di cento parole una realtà dove l’assenza di regole, la sottocultura dell’illegalità e il mancato rispetto delle norme civiche mina costantemente la sicurezza dei cittadini, di tutti quei passanti che in quel momento e senza saperlo potevano trovarsi lì, vittime dell’ennesima tragedia annunciata.

Una storia che, alla fine, sembra corrispondere all’interesse delle logiche criminali: “qui lo Stato non c’è!
Difatti, basta andare su quel terreno, nei pressi di  Via Arena (dove è sparito perfino il cartello che lo identificava come bene confiscato!),  per constatare che continua ad essere occupato abusivamente, alla luce del sole, senza che ciò provochi il minimo sdegno: e questo  descrive meglio di qualsiasi parola, l’ennesimo simbolo mancato di legalità, l’ennesimo sfregio ad una città che non  riesce a comprendere che solo attraverso l’affermazione dei diritti costituzionali, che passano attraverso rispetto di quelle norme, si possono scampare quei pericoli.

Il simboloil sigillo rispettato- e quindi la battaglia  in campo sul recupero di beni confiscati alla criminalità,  corrisponde non soltanto alla sicurezza e quindi alla convenienza della collettività, ma è  altresì il primo passo per costruire una coscienza sociale e collettiva che contrasti effettivamente le logiche criminali presenti sul territorio, che si servono degli stessi simboli per imporre il loro potere attraverso un codice di omertà. Per questo, la battaglia sui beni confiscati, è una battaglia fondamentale per la democrazia del nostro Paese, perché è allo stesso tempo una battaglia culturale, sociale, economica e simbolica. E può essere vinta soltanto se tutte le forze  in campo trovano un percorso comune per tracciare la via del riscatto sociale.



Fonte: liberaafragolacasoria.com

Anche a Napoli "Riparte il futuro"

















Anche a Napoli "Riparte il futuro" 





La corruzione è uno dei motivi principali per cui il futuro dell’Italia è bloccato nell'incertezza. Pochi paesi dell’Unione Europea vivono il problema in maniera così acuta (ci seguono solo Grecia e Bulgaria). Si tratta di un male profondo, fra le cause della disoccupazione, della crisi economica, dei disservizi del settore pubblico, degli sprechi e delle ineguaglianze sociali.
Il prossimo 24 e 25 febbraio verremo chiamati a eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento. È il momento di chiedere che la trasparenza diventi una condizione e non una concessione, esercitando il nostro diritto di conoscere.
Per questo domandiamo adesso, a tutti i candidati, indipendentemente dal colore politico, di sottoscrivere 5 impegni stringenti contro la corruzione. Serviranno per potenziare la legge anticorruzione nei primi cento giorni di legislatura e per rendere trasparenti le candidature.

http://www.riparteilfuturo.it/


LAZIO E CAMPANIA, CONFISCA RECORD DELLA DIA PER OLTRE 90 MILIONI DI EURO di Norma Ferrara
















LAZIO E CAMPANIA, CONFISCA RECORD DELLA DIA PER OLTRE 
90 MILIONI DI EURO


di Norma Ferrara




E’ dall’inizio degli anni ’80 che boss dai nomi altisonanti come Bardellino, Magliulo, Moccia, Alvaro, Renzivillo,  il gotha della criminalità organizzata del bel Paese, stabiliscono residenza ed affari nel Lazio circondando province, comuni e città  e penetrando  nella stessa Capitale. Oggi la direzione investigativa antimafia, su provvedimento del tribunale di Frosinone, mette a segno una confisca di beni per oltre 90 milioni di euro nel Lazio e in Campania a persone "contigue" al clan dei casalesi. Si tratta della più grossa confisca ai danni delle organizzazioni camorristiche nel Lazio. L'operazione  prende il nome da una  jaguar "Verde bottiglia" che il boss dei casalesi, Sandokan, regalò a quello che gli investigatori individuano come il suo referente nel basso Lazio, Gennaro De Angelis, che secondo gli inquirenti è stato  «capo indiscusso autonomamente operante fra Frosinone, Gaeta, Cassino, e al contempo collegata e federata con il clan dei casalesi». Il provvedimento di oggi conclude l’attività investigativa che nel marzo del 2011 portò al sequestro dei beni di  Gennaro De Angelis, Aladino Saidi e Antonio Gabriele e si colloca a cavallo fra Campania e Lazio. L'accusa è di essere contigui alla camorra.

I beni confiscati.  I beni acquisiti dallo Stato sono localizzati tra Castrocielo, Sora, Rocca di Mezzo, Cassino, Campoli, Gaeta, Arpino e Roma e sono costituiti da 20 società e relativi beni aziendali e immobili, 26 fabbricati, 2 ditte individuali, 28 terreni, 19 auto (tra cui le Ferrari) e 114 rapporti finanziari. Un'operazione quella condotta a partire dal 2009 dalle forze dell'ordine e dalla magistratura che individuò un traffico di autovetture ma che dietro svelò dinamiche e importanza  criminale dei boss nel basso Lazio.  Raccontano i collaboratori di giustizia  e in particolare Domenico Bidognetti, al vertice del clan dei casalesi, e luogotenente di Francesco Bidognetti "……. Mi si chiede se conosco tale De Angelis Gennaro. Le rispondo che ho conosciuto personalmente il predetto De Angelis. Lo incontravo spessissimo a Casal di Principe in quanto era persona di Bidognetti Francesco, anche se non abitava più a Casale, ma nel basso Lazio, tra Formia e Gaeta….”, e “…Egli era in ottimo rapporto anche con Frasceso Schiavone “Sandokan” tanto che una volta le regalò una jaguar verde bottiglia» «Tornando al De Angelis posso dirle  - continua Bidognetti - che io stesso mi sono recato in Formia sul finire degli anni ’80 per fare degli appostamenti  finalizzati a rintracciare ed uccidere componenti del clan  Bardellino».

E ancora, nella richiesta fatta dai magistrati del tribunale di Frosinone su De Angelis vengono riportate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia,  Carmine Schiavone che afferma: «La parte meridionale della provincia di Latina era affidata a Gennaro De Angelis, capozona di Gaeta, Formia e Terracina. Ufficialmente De Angeli vendeva autovetture, insieme al fratello a Cassino, ma sino alla data del mio pentimento, rappresentava per noi il punto di riferimento per tute le attività di penetrazione e investimento nel sud- pontino e … - per questa attività – veniva ricompensato con 50/60 milioni al mese. Fra i suoi compiti principalmente quello di  fornirci notizie utili sulle attività dei cantieri edili che avevano dei lavori nella zona di sua competenza, in modo che potevamo intervenire con gruppi armati per compiere estorsioni. Il De Angelis dava appoggio logistico ai gruppi armati trovando case, garage e altri luoghi dove avere ospitalità ovvero nascondersi....». Il controllo del mercato delle automobili, una sorta di “monitoraggio” del settore edilizio e la “base” logistica per le latitanze dei boss della camorra: questo il canale operativo che collegava, secondo l'inchiesta, Gennaro De Angelis. Un controllo del territorio che quell'inchiesta portata a termine nel 2009 descriveva come “automatico” quasi spontaneo, tanto che il ricorso alla violenza era un fatto “rarissimo”.  Solo un mese fa a Frosinone l'appuntamento “Per una regione libera da mafie e corruzione” ha portato alla luce la necessità di fare breccia nel muro del silenzio che nasconde i fatti, la gravità e le denunce del sistema criminale che opera nella provincia. L'operazione della Dia portata a termine oggi con questo provvedimento  dimostra che sono gli stessi atti ufficiali della magistratura a raccontare di mafie a Frosinone e nel basso Lazio. E la collocazione fra le confische record realizzate dall'intelligence antimafia in questi anni spiega  con quanto ritardo si continui  a prendere  coscienza di questo fenomeno.

Fonte: Liberainformazione.org 14 Gennaio 2013

REPORT INCONTRO PERIODICO CON IL DELEGATO DEL MINISTERO DELL’INTERNO, VICE PREFETTO DONATO CAFAGNA, 9 GENNAIO 2013 Di Coordinamento Comitati Fuochi
















REPORT INCONTRO PERIODICO CON IL DELEGATO DEL MINISTERO DELL’INTERNO, VICE PREFETTO DONATO CAFAGNA, 9 GENNAIO 2013



Di Coordinamento Comitati Fuochi

Si  è svolto il 9 Gennaio scorso a Caivano, nella Parrocchia San Paolo Apostolo nel Parco Verde, il terzo incontro del delegato del Ministero dell’Interno, Vice Prefetto Donato Cafagna, con i referenti del Coordinamento Comitati Fuochi e con Padre Maurizio Patriciello.
Scopo dell’incontro era verificare il passaggio dall’elaborazione della strategia e pianificazione all’operatività in merito alle misure urgenti da mettere in atto per la repressione del fenomeno dello smaltimento rifiuti industriali e roghi tossici.
Il vice Prefetto Cafagna ha illustrato le azioni operative che ha iniziato a mettere in atto sul territorio:
si sta ragionando per filiere industriali che innescano il fenomeno nella sua componente regionale, in particolare si è iniziato dalla filiera tessile e quindi dai Comuni del Vesuviano che ospitano tantissime realtà di piccole aziende tessili.
-          Comuni di Somma Vesuviana, San Giuseppe Vesuviano, Terzigno/Boscoreale: questi sono stati oggetto delle prime operazioni sul territorio. Messe insieme le unità di polizia municipale/forze dell’ordine/guardia forestale destinate unicamente allo scopo di pattugliare e vigilare il territorio negli orari di maggiore incidenza degli sversamenti e dei roghi. Il Dott. Cafagna ha incontrato, presso i commissariati locali, le amministrazioni comunali con l’intento di verificare le peculiarità dei singoli Comuni, determinare con loro la disponibilità delle risorse da destinare unicamente a questa finalità, organizzare le attività e la metodologia di confronto e feedback periodico sui risultati. La Guardia di Finanza sta intensificando i controlli presso le singole aziende, i blocchi stradali finalizzati al controllo e al fermo dei furgoni e dei mezzi che potrebbero trasportare rifiuti industriali. Presi di mira, oltre alle aziende, anche i gommisti e i laboratori anche con controlli notturni. I vigili del fuoco elaboreranno dei report più dettagliati dei singoli interventi. Si sta provvedendo a riattivare le telecamere non funzionanti del progetto SIMA ed intensificare la videosorveglianza sul territorio.
Mensilmente saranno elaborati dei report con i dati di dettaglio forniti circa i risultati ottenuti.
Questo è l’inizio. Di seguito un primo calendario degli incontri che seguiranno nei singoli Comuni:
10/1       Calvizzano, Melito e Marano
10/1       Casoria, Caivano
11/1       Frattamaggiore, Frattaminore, Casandrino, Sant'Arpino
14/1       Ponticelli , San Giovanni
15/1       Nola, Marigliano, Palma Campania, Roccarainola
16/1       Giugliano, Qualiano, Mugnano, Villaricca
17/1       Afragola, Crispano
18/1       Scampia, Secondigliano
Successivamente sono previsti incontri nel casertano (Mondragone, Castelvolturno) e nell’aversano (Aversa, Orta, Succivo, Marcianise).

L’azione del Coordinamento e dei singoli Comitati tutti dovrà continuare ad essere quello di parte terza, esterna, certificatore dei risultati. Continueremo con gli incontri periodici con il dott. Cafagna anche per dare il nostro feedback in merito alle zioni verificate sui territori. Saremo le sentinelle che segnaleranno le manchevolezze ed eventuali nuove dinamiche illegali che dovessero essere riscontrate.
Si comincia subito a verificare come sta funzionando il piano nel vesuviano, attraverso l’azione di controllo dei comitati vesuviani.
Saranno promossi anche incontri periodici sui vari territori, con i cittadini, con il dott. Cafagna e con le Amministrazioni comunali e forze dell’ordine proprio per facilitare il passaggio di informazioni bidirezionale.
Prossimo incontro col Vice Prefetto Donato Cafagna è fissato per gli inizi di Febbraio.
COORDINAMENTO COMITATI FUOCHI

Fonte:coordinamentocomitatifuochi.org  14 Gennaio 2013

Una scorta per Alessandro Cannavacciuolo, il ragazzo che denuncia i galantuomini


















Una scorta per Alessandro Cannavacciuolo, il ragazzo che
denuncia i galantuomini


di Matteo Zola



Alessandro Cannavacciuolo, ventiquattro anni appena, un ragazzo comune di quelli che certa stampa, in cerca di sensazionalismi, definirebbe un ‘eroe’. 
Poiché certo non è comune, a quell’età come in nessuna, opporsi a rischio della propria incolumità ai potentati politico-economici. Specialmente se ci si trova ad Acerra, in Campania, e si denunciano l’inquinamento ambientale e l’occultamento di rifiuti tossici.
E non ci vuole un esperto per capire chi, nel territorio campano, può gestire simili affari.



Cannavacciuolo si batte da tempo in difesa del suo territorio, distrutto da parte degli speculatori collusi con la politica. Le sue accuse si sono rivolte specialmente contro i Pellini, noti imprenditori di Acerra, finché un’ultima denuncia – datata 4 settembre 2011 – non è diventata oggetto di indagini da parte della Procura di Nola. 
Da allora Cannavacciuolo è oggetto di continue minacce, agguati, telefonate intimidatorie e la pressione su di lui aumenta costantemente. Per questo è stata lanciata una petizione, della quale vogliamo farci megafono, affinché Alessandro non venga lasciato solo e gli venga assegnata una scorta.

Già, perché la denuncia del settembre 2011 svela tutti i particolari riguardo l’interramento di rifiuti tossici nelle fondamenta di una scuola dell’infanzia ad Acerra. L’indagine, aperta dal pm della Procura di Nola, Carmine Renzulli, che ha delegato la Polizia Provinciale a effettuare i primi interrogatori, è tutt’ora in corso. Sappiamo però che Cannavacciuolo ha raccolto alcune dichiarazioni di un muratore ex dipendente della ditta Fratelli Pellini. Costui avrebbe dichiarato che fondamenta del palazzo, nel parco Di Fiore ad Acerra, dove a piano terra è ubicata la scuola paritaria dell’infanzia “Bosco Incantato”, sarebbero state riempite di rifiuti tossici pericolosi a partire da quelli ospedalieri per finire a quelli industriali – miscelati al cemento. La notizia, riportata da L’inchiesta Napoli, magazine indipendente on-line, è sconcertante ma sarebbe avvalorata dalle testimonianze di costruttori locali che avrebbero rifiutato, in passato, di acquistare cemento dalla ditta Pellini a causa dei “cattivi odori” e della dubbia consistenza del materiale.

La ditta Pellini, spiega ancora L’inchiesta Napoli, è attualmente sotto processo per aver smaltito illegalmente tonnellate di rifiuti tossici nelle campagne acerrane, nei pozzi e nelle fondamenta di molti palazzi in località Spiniello, da loro costruiti negli anni che vanno dal 1998 al 2003. Principali imputati sono i tre fratelli Pellini di Acerra: Cuono, Giovanni e Salvatore, gestori di società di trasporto e trattamento rifiuti i primi due, e carabiniere all’epoca dei fatti il terzo. Un imponente edificio probatorio dimostra che Pellini e associati, fin dagli anni novanta, hanno smaltito illegalmente in Campania almeno un milione di tonnellate di scarti industriali provenienti per la maggior parte da Toscana e Veneto, con un profitto stimato di ventisette milioni di euro. L’organizzazione si avvaleva di un rete di complici che ricoprivano posizioni di controllo nella pubblica amministrazione e nelle forze dell’ordine. In particolare, l’ex maresciallo dei carabinieri Giuseppe Curcio avrebbe dirottato i controlli dell’ARPAC e manomesso le indagini innescate dalle denunce degli agricoltori, causandone l’archiviazione. Altri due complici al comune di Acerra, Pasquale Petrella e Amodio Di Nardi, responsabili dell’ufficio tecnico, fornivano certificati falsi sulla destinazione dei terreni, contribuendo alla parvenza legale delle operazioni. Forti anche i legami del gruppo Pellini con il clan Belforte di Marcianise, emersi dalle intercettazioni telefoniche tra esponenti del clan e dalle dichiarazioni del pentito Pasquale Di Fiore, a capo dell’omonimo clan acerrano.

La vicinanza dei clan camorristi ai Pellini evidenzia quanto sia necessario proteggere il giovane Alessandro Cannavacciuolo assegnandogli una scorta, poiché se talvolta si ha bisogno di ‘eroi qualunque’ per fare luce su crimini e torbidi, certo non si ha bisogno di martiri da aggiungere al pantheon degli onesti.

Fonte: Narcomafie.it  8 Gennaio 2913

Bando regionale per progetti sui beni confiscati, esclusi quanti direttamente li gestiscono. Tradito lo spirito della legge di Tonino Amato Presidente Commissione Regionale Beni Confiscati




Bando regionale per progetti sui beni confiscati, esclusi quanti direttamente li gestiscono. Tradito lo spirito della legge

di Tonino Amato
Presidente Commissione Regionale Beni Confiscati


Dopo 8 mesi di attesa, l’odierna pubblicazione sul BURC del bando relativo al sostegno per progetti di riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, secondo quanto previsto dalla L.R. 7/2012, evidenzia forti criticità che non solo tradiscono lo spirito del legislatore cui l’atto si sarebbe dovuto attenere, ma, soprattutto, rischiano di escludere dalla possibilità di partecipazione, quanti, associazioni, cooperative, terzo settore, direttamente utilizzano i beni confiscati, i comuni che si trovano in situazioni di dissesto finanziario, i comuni (tanti) che ancora non utilizzano o che comunque non lo hanno fatto per il passato, la procedura consigliata ma non obbligatoria, del bando pubblico per l’assegnazione dei beni confiscati. Chiediamo che, in tempi strettissimi, il bando sia ritirato e rivisto e che, conm urgenza, la giunta regionale sia finalmente seguito a quanto previsto (osservatorio regionale, ufficio per le aziende confiscate, premialità nei bandi regionali per quanti presentano progetti da realizzarsi sui beni confiscati) dalla legge 7/2012, che ancora, incredibilmente, resta del tutto inapplicata. Sui beni confiscati e nella lotta alla camorra non servono belle parole, ma impegno e responsabilità.
Di seguito il comunicato stampa diffuso
«Dopo 8 mesi pubblicato il bando per il sostegno a progetti di riutilizzo sui beni confiscati. Purtroppo, al momento, un’occasione persa. Chiediamo a Caldoro che venga ritirato e rivisto» lo afferma in una nota il Presidente della Commissione Beni Confiscati Antonio Amato «E’ assurdo che con un bando si modifichi una norma e quindi la volontà del legislatore che aveva previsto, tra i diretti beneficiari quanti, associazioni, cooperative, gestiscono o promuovono i beni confiscati. Invece, per il bando pubblicato oggi sul BURC, possono presentare i progetti solo gli enti locali ed i loro consorzi, tra l’altro compartecipando per il 10% al progetto. E’ vero che, a fronte di finanziamenti massimi di 25 mila euro a progetto, si tratta di somme minime, fino a 2 mila e 500 euro. Ma questo taglia automaticamente fuori tutti i comuni in dissesto finanziario o comunque con difficoltà economiche. Senza contare ulteriori difficoltà per eventuali amministrazioni commissariate. Intere zone del casertano, a partire dal territorio casalese dove pure sono presenti molti beni confiscati e dove pure sono concentrate straordinarie esperienze, sono praticamente tagliate fuori. E difficoltà potrebbero esserci anche per comuni come Napoli chiamato a scegliere, non si sa bene su quali basi, tra tanti beni per quali presentare un progetto e quali tagliare fuori. Inoltre, ancora oggi, Napoli come tanti altri comuni non ha un regolamento che prevede il bando pubblico per l’assegnazione dei beni, pre-condizione invece prevista dal bando regionale che, ancora, quindi, taglia fuori ed esclude possibili beneficiari. Lo spirito della stessa legge 7/2012» continua Amato «promuoveva l’interazione tra privato sociale, associazioni ed enti locali, ma lasciava aperta la possibilità di promuovere progetti sia agli enti locali che a quanti utilizzano direttamente i beni. Sono questi ultimi, d’altro canto a conoscere le reali necessità dei luoghi che gestiscono. Quale logica spinge invece la giunta a pensare che le proposte debbano essere promosse solo dagli enti locali? Insomma, un pasticcio che rischia di azzoppare un’azione virtuosa. Per questo» conclude il Presidente della Commissione Regionale «chiederemo a Caldoro di ritirare immediatamente il bando e correggerlo per renderlo davvero funzionale al riutilizzo dei beni confiscati. Naturalmente in tempi strettissimi, così come in tempi rapidi si deve fare tutto quanto ancora la legge prevede e ancora non è stato realizzato: l’osservatorio regionale, l’ufficio per le aziende confiscate, le premialità nei bandi regionali per quanti presentano progetti da realizzarsi sui beni confiscati. Quanto accaduto nei giorni scorsi alla NCO dimostra che ancora c’è tanto da fare, c’è bisogno di responsabilità e attenzione, e soprattutto di un reale, forte e costante impegno»

Fonte: primapaginaitaliana.it/  8 Gennaio 2013

In ricordo di Gerardo D'Arminio


















Per il senso del dovere, in ricordo
di
Gerardo D'arminio




di Vincenzo Fatigati giovani di Libera

Presidio Territoriale  Afragola - Casoria  


Il rischio maggiore oggi  per le diverse celebrazioni della memoria,  i diversi olocausti della storia; non consiste nella loro cancellazione dal calendario, nella eliminazione di targhette o statue. 
Ma nel suo opposto,  la tragedia riesce a cadere nell'oblio quando l’evento del ricordo diventa passerella o mera celebrazione ritualistica;  diventa insomma strumentalizzata da una parte politica. Una ricorrenza come le altre.
Non possiamo forse dire che lo stesso vale per le vittime delle mafie, quando constatiamo sempre di più in questi  tempi che  i peggiori politici – proprio  quelli che sono collusi- esaltano  i vari Falcone e Borsellino per crearsi quella patina eroica per consenso elettorale? “Non abbiamo bisogno di tifosi, ma di calciatori” ripetono spesso i diversi addetti alla lotta alla criminalità organizzata . Il ricordo serve  solo se si riesce a passare quindi, dalla  ammirazione passiva del simbolo, a quella attiva della cittadinanza.  Il ricordo ha senso solo se si riesce a comunicare questo messaggio, riuscendo  a passare dal livello personale a quello sociale e collettivo.
Le mafie da sempre,  per il controllo del potere, oltre alla violenza e alle intimidazioni, utilizzano, in modo vigliacco,  la diffamazione, l’inganno come   strumento di legittimazione. 
Diffamare la vittima serve per creare consenso e quindi potere agli occhi degli altri.
Ricordare il passato,  allora è il primo passo da fare per guardare al futuro, perché quello che va comunicato non è solo una storia, un fatto o un dettaglio; ma un atteggiamento che deve restare uguale nel suo divenire storico.  Ricordare insomma, serve per schierarsi.

Questo preambolo  serve per comprendere che  il nostro atteggiamento  deve essere attivo verso la  figura del maresciallo D’Arminio, ucciso ad Afragola  proprio il  5 gennaio del 1976 . Una storia tragica e emblematica , tristemente abbandonata e dimenticata  dalla coscienza della città di Afragola.

1
Nato nel cilentano a Montecorvino Rovella,  era un maresciallo capace, con un   curriculum di primo livello, essendo in pochi anni passato  da Palermo, dove da subito si era occupato della cattura di pericolosi esponenti di della mafia siciliana, a occuparsi  negli anni ‘70  della “via del tabacco”, riuscendo ad intuire e studiare  connessioni col traffico degli stupefacenti ,  indagando sulle relazioni tra cosa nostra e i cartelli della camorra. Persona esperta e preparata, conosceva a memoria fatti  circostanze, senza controllare l’archivio ; oltre che ad essere efficiente, visto che da quando aveva prestato nel 1974 servizio ad Afragola, erano notevolmente diminuiti i crimini nella città.

 D’Arminio fu ucciso proprio il 5 gennaio del 1976 da otto proiettili di lupara canne mozze sparate da  una “500” gialla , mentre comprava una bicicletta su una bancarella a Carmine, uno dei suoi quattro figli che aveva appena  4 anni
.

Purtroppo in città ancora  circolano, criminosamente,  diverse versioni, spesso macchiate del solito tentativo diffamatorio, dove  - chissà perché- chi sostiene determinate versioni, si dimenticano di leggere  documenti ufficiali; limitandosi a raccontare la versione invece delle persone che sono state condannate di quel determinato reato.
2
 Infatti, secondo il  sostituto procuratore della Repubblica Vittorio Martuscello, l’ipotesi di reato è “omicidio volontario  e premeditato”. Gli investigatori non credettero alla versione del giovane    Enzo Moccia, che all’epoca era minorenne e si costituì alla procura,    dichiarando  di aver commesso l’omicidio senza l’aiuto dei fratelli  Angelo e Luigi : secondo la sua versione, sarebbe andato a  casa sua per prendere una lupara che aveva nascosto a casa del padre giorni prima  (e che aveva trovato miracolosamente e casualmente tempo prima ). Non si sarebbe accorto della presenza del Maresciallo, ma avrebbe avuto una colluttazione con il nemico e rivale  Luigi Giugliano, e dopo diverbi  , si sarebbe difeso  sparando colpi che, poi accidentalmente, colpirono il maresciallo.
Per la procura  ciò non fu vero, in quanto è difficile credere a questa versione  anche perché Enzo Moccia conosceva bene il Maresciallo D’Arminio,  poiché  il marzo precedente, durante una perquisizione per una partita di tabacco, avrebbe  trovato il vecchio Boss Gennaro Moccia in possesso di un arma.   All'epoca Enzo si accusò del reato per  tentare di non far andare il  padre carcere
. E comunque, secondo i primi giornali dell'epoca e le ricostruzioni iniziali della procura , nell'auto ci sarebbero stati anche i fratelli Luigi , e Angelo, giacché, avrebbero – secondo 

la prima ipotesi - avuto un ruolo di  concorso omicidio. Poi l'accusa cadde.  L’omicidio, secondo la ricostruzione della procura,  serviva come messaggio, per far mantenere alto il prestigio della famiglia, in quella  perversa e strana “logica da guappi” . Il potere si conquista con la violenza, e quindi bisognava mostrare agli  altri di avere ancora “prestigio”, di non temere nessuno sfidando quanti nelle forze dell’ordine avevano avuto il coraggio di mettere in discussione concretamente e con atteggiamenti pubblici il loro potere.  Pertanto, secondo questa ricostruzione, il minorenne si sarebbe assunto- in un secondo momento-  la responsabilità dell’omicidio per avere degli sgravi penali. 
 Una cosa però  è la condanna  giudiziaria(che è stata accertata), ed è  scritta da sentenze; altra è quella sociale e collettiva che – basandosi su quest’ultima-  deve essere  ancora più forte, e netta (e spesso tarda ad arrivare dalla nostra collettività)  . 

Raccontare e ricordare, serve proprio per stigmatizzare quella presunta logica da guappo , che – chiunque supera la soglia della bestialità-  sa essere  profondamente nociva, e vigliacca  anche a causa  della collusione con una certa  assuefazione della cittadinanza, che ancora oggi tarda a schierarsi.  

Oggi 5 gennaio ’2013 , sulla targa che si trova nella piazza principale di Afragola in ricordo del Maresciallo D’Arminio,  verrà omaggiato la sua figura con tre rose bianche, non solo per il “semplice” ricordo del suo operato; ma affinché arrivi finalmente quella condanna sociale da tutti, oggi troppo spesso minacciata da mezzi silenzi, assuefazioni e omertà.    


1 Di Pasquale Scordamaglia  Il coraggio del maresciallo D’Arminio. Un investigatore di razza dall’incomparabile impegno civile. http://mpmeltingpot.wordpress.com

2 Ordinanza custodia cautelare


Fonte: liberaafragolacasoria.com 5 Gennaio 2012






Birra in carcere, al via il progetto




Birra in carcere, al via il progetto


Un progetto di inclusione sociale entro le mura dell’istituto penitenziario di Carinola.  


di Tina Cioffo                       CASERTA

Lavoro, Agricoltura Biologica ed Economia Sociale, è di questo che si è parlato il 26 novembre scorso al Carcere di Carinola in occasione della seconda edizione del Campus Felix, un progetto dell’associazione “FormAzioneViaggio, della rete di Libera e del Comitato don Diana.
L’iniziativa studiata per promuovere una legalità concreta ed in grado di dare delle risposte con i fatti, ha visto anche la presentazione del progetto 
La birra della legalità”.
L’obiettivo è la creazione di un birrificio artigianale da realizzarsi all’interno dell’Istituto Penitenziario, con la convinzione che valorizzando l’attività agricola, riducendo le distanze fra popolazione carceraria e società civile ed accrescendo l’inclusione sociale nel rispetto della legalità si contribuisce alla creazione di Comunità sane e solidali.
Così come è stato per i beni immobili sottratti alla criminalità organizzata e poi restituiti al territorio, diventando patrimonio comune e trampolino di lancio per una nuova economia antidoto di quella criminale altrettanto è infatti, necessario fare con i detenuti per poterli far fuoriuscire dal sistema illegale che li ha coinvolti e restituirli alla vita legale.
 Le attività pratiche saranno gestite dalla Cooperativa socialeCarla Laudante” onlus in concertazione con l’Istituto Penitenziario di Carinola e la rete associativa di Libera e Comitato don Diana che nel casertano rappresentano un’unica realtà.
Un progetto che punta ad ampliare le già consolidate esperienze di recupero e assistenza dei soggetti svantaggiati condotte sui beni confiscati, coinvolgendo i detenuti e offrendo loro reali opportunità di riscatto sociale volti alla costruzione di percorsi di recupero non solo materiali ma anche e soprattutto delle coscienze.
A completare il quadro della giornata,la  premiazione dei vincitori del concorso letterario “A Cuore aperto”, iniziativa condotta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica che ha raccolto numerose lettere di detenuti nelle carceri di Italia.
E’ risultata vincitrice quella scritta da Massimo Buccolieri, letta per l’occasione da Filiberto Imposimato, figlio di Franco, sindacalista di Maddaloni ucciso nel 1983 dalla camorra nell’ambito di azioni intimidatorie nei confronti del giudice Ferdinando Imposimato, titolare di importanti inchieste sull’omicidio Moro e sulla banda della Magliana, anch’egli presente. Federico Cafiero De Raho capo della DDA di Napoli che ha salutato con soddisfazione tutta l’iniziativa ha dichiarato
La lotta alla mafia dev'essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà

Fonte: Newsletter Libera Campania Dicembre 2012




COMUNICATO STAMPA L'anno che verrà




COMUNICATO STAMPA




Oggetto: L'anno che verrà 

E’ iniziato l’anno nuovo, 2013esimo dell’era cristiana, nel quale riversiamo la nostra breve ma intensa attività sui territori afragolese e casoriano a servizio della legalità e della verità. Anno nel quale continueremo a impegnarci per realizzare altri progetti  e nel quale continueremo a ricordare le vittime innocenti del territorio nell’attesa di dare volti e nomi agli assassini che hanno fatto scorrere il sangue innocente di:

Antonio Coppola di anni 40, professione: venditore di giornali e riviste. Ucciso a Casoria il 19 agosto del 2010, fuori alla sua edicola. 28 mesi fa!
Gerardo Citarella di anni 43 e Pino Lotta di anni 39, professione: agenti di un Istituto di Vigilanza privato. Uccisi a Casoria il 26 ottobre del 2010, nel corso di una rapina in Banca. 28 mesi fa!
Andrea Nollino di anni 42, professione: barista. Ucciso a Casoria il 26 giugno 2012, da una pallottola vagante fuori al suo piccolo bar. 6 mesi fa!

Noi non dimentichiamo!
E finché avremo voce non smetteremo mai di chiedere con forza verità, legalità e giustizia. 

Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
Presidio Territoriale Afragola - Casoria

       email: liberafragolacasoria@libero.it       
   
www.liberaafragolacasoria.com