CAROLINA GIRASOLE "LA RIBELLE " DI ISOLA CAPO RIZZUTO
di
Paola Bottero
Ma
sì, lasciamola sola Carolina Girasole, la “ribelle” di Isola di Capo Rizzuto
che ha preteso, per cinque lunghi anni, di riportare la legalità nella sua
cittadina affacciata sullo Jonio crotonese, permettendosi di relegare al
passato clientelismi di ogni genere, cattiva gestione amministrativa, e
diventando un simbolo della lotta alla ’ndrangheta in tutto il territorio
nazionale. Lasciamola sola. Tanto ormai è abituata.
Ha
iniziato a lasciarla sola, a fine dello scorso anno, il Pd, il suo partito di
riferimento, quando, dopo averla sballottata come simbolo costante in ogni
dove, invitandola a mega raduni, chiedendole filmati da proiettare persino in
piazza San Carlo a Torino, davanti agli occhi commossi dell’allora segretario
di partito Bersani, dopo averla trascinata nel tritacarne mediatico insieme a
altre donne-sindaco-simbolo della Calabria-che-si-ribella (a lei persino El
Pais ha dedicato un lungo articolo-intervista), ha lasciato la palla ai
luogotenenti locali, che si sono ben guardati dall’inserirla, con le sue
colleghe in prima linea e non intimidite dalle intimidazioni, nella lista dei
“nominati” al sacro Parlamento, preferendo giocarsi le proprie personalissime
carte lontani dalle trincee.
Era
stato un primo campanello di allarme, che l’allora sindaco di Isola aveva
sentito suonare tetro, e molto forte. Poi, a febbraio, era arrivata la
richiesta di un impegno diretto con l’allora Presidente del Consiglio Monti, la
sofferta candidatura in Scelta Civica, che in Calabria non era riuscita a
eleggere deputati. Il secondo campanello ha suonato poco più di un mese fa,
quando l’assenza totale di input da parte del Pd rimarcava un’altra presa di
distanza. Carolina aveva pensato a lungo se fosse il caso di ricandidarsi. I
cinque anni trascorsi a raccogliere i cocci e costruire qualcosa di nuovo per
Isola erano lì, solidi, con tutti i risultati raggiunti, a dirle che doveva
andare avanti.
Il
Pd ha deciso di non far comparire il proprio simbolo nelle amministrative
appena terminate. Molti esponenti “democratici” locali si sono uniti in liste
civiche a sostegno di un altro ex sindaco, Milone. È arrivato secondo, non è
riuscito a trascinare al ballottaggio il trentaduenne Gianluca Bruno,
imprenditore nel ramo pacchi e spedizioni, eletto sindaco nelle liste del centro
destra. In sedici si sono raccolti intorno a lei. Hanno riempito le piazze di
Isola per far sapere cosa era stato fatto, cosa avrebbero continuato a fare. Ma
fare a volte non è importante. Non basta.
Niccolò
Zancan, dalle pagine della Stampa, racconta la festa per la sconfitta di
Carolina: “Nei bar non ti danno tregua. Offrono cornetti e brindano: «Ce ne
siamo liberati! Evviva! Quella si credeva la paladina della giustizia, ma ha
detto soltanto falsità. Qui si sta benissimo, altroché mafiosi. Dovete scriverlo:
da cinque anni non c’è un morto ammazzato. Mentre quella ha ucciso il turismo a
forza di parlare di ’ndrangheta. Ha infangato tutto il paese. Voleva fare
carriera sulla pelle nostra»”.
Una
carriera infuocata, quella di Carolina. Negli anni passati le hanno incendiato
più volte la macchina, hanno cercato di bruciare la casa al mare, raccontando
che si trattava di una villa abusiva costruita grazie a suoi “intrallazzi”
amministrativi. Ma sono ordinaria amministrazione, i fuochi: a Isola anche durante
quest’ultima campagna elettorale non sono mancate intimidazioni. Non hanno
digerito quel suo andare dritta al nocciolo del problema, quella sua limpidezza
con cui ha portato Libera e don Ciotti su terreni confiscati, cercando di
ricostruire quello che era stato distrutto. Hanno deciso di alzare il
venticello della calunnia, di insinuare che no, a Isola la ’ndrangheta non
esiste, che era lei a raccontarla per farsi pubblicità. Sono arrivati a
contraddire le loro stesse affermazioni speculando sul cognome pesante del
cognato, che nessuno si è curato ricordare non aver mai avuto a che fare con la
giustizia.
Infine,
com’era ovvio, non l’hanno votata. Ma ciò che è terribile è che sono riusciti a
non farla votare, se non da un coraggioso 15% di isolitani che hanno deciso di
guardare in faccia la realtà, e non le favole. Ci diciamo sempre che “loro” non
sono più forti, perché numericamente inferiori. È vero?
I
cornetti, però, non bastano per festeggiare. Ci vuole un segnale forte, deve
aver pensato qualcuno. Affinché capisca quanto forte è la sua sconfitta. Quanto
forti siamo noi. O forse, visto che dal terrazzo di quella casa di Capo Rizzuto
ci si continua a innamorare delle sue bellezze, nonostante tutto, hanno voluto
evitare che Carolina possa continuare a far prevalere il proprio amore per
Isola anziché la rabbia per tutto quello che la sua famiglia è stata costretta
a subire in questi cinque lunghi anni. Hanno preso di mira la casa di Rosario
Pugliese che decenni fa, con la moglie, ha deciso di costruire un luogo in cui
continuare, d’estate, a godere dei figli e del mare. Un piccolo giardino, due
piani divisi in piccoli appartamenti estivi (due camere da letto, un soggiorno
living con angolo cottura, un bagno), un patio in cui trovarsi a pranzo e cena
tutti insieme. Al piano terra l’appartamento dei suoceri di Carolina e della
loro figlia Antonia. Sopra, quello del figlio Francesco, marito di Carolina.
Se
ti fermavi a parlare con Franco, fino a ieri, ti raccontava, illuminandosi di
una gioia infantile, dei suoi ricordi di ragazzo. Del legame che ha con quel
posto del cuore, dove un tempo si trovava con i suoi amici e gli amici delle
sorelle e del fratello, ora ci sono gli amici delle figlie e dei nipoti. Un
luogo solido, un luogo dove respirare lo stare insieme che i suoi genitori
hanno fatto diventare punto di riferimento di ogni estate.
Stamattina
il padre ha mandato un imbianchino: l’estate bussa, l’inverno aveva lasciato
qualche traccia da rimettere a posto. È stato proprio il muratore a scoprire
che questa notte qualcuno ha versato liquidi infiammabili sotto le porte dei
due appartamenti al primo piano, bruciando tutto quello che poteva bruciare.
Ma
sì. Lasciamola sola, Carolina. Ha perso, ha perso due volte in pochi mesi, come
alcuni quotidiani locali sottolineano con costanza quasi maniacale. Ha perso
anche la casa per le vacanze estive. In fondo non era neppure sua.
Lasciamola
sola, Carolina. Facciamo finta di non sapere che con quelle fiamme, stanotte,
non sono stati bruciati solo i ricordi di due splendidi anziani, né la speranza
che vivere onestamente sia l’unica soluzione possibile, né l’idea che una
sconfitta politica non possa essere il frutto di odio personale. Facciamo finta
di non sapere che quelle fiamme hanno bruciato un’altra possibilità di riscatto
di ogni isolitano, di ogni calabrese, di ogni italiano. Tanto, in fondo, non è
casa nostra. E la ’ndrangheta non esiste. Là.
Fonte: liberainformazione.org 29 Maggio2013