"Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo"

Paolo Borsellino

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

Libera Presidio Afragola - Casoria PROSSIMO APPUNTAMENTO "PULIAMO IL MONDO"28 E 29 SETTEMBRE 2012



PROSSIMO APPUNTAMENTO
DEL PRESIDIO 
TERRITORIALE 
DI 

28  E 29  SETTEMBRE 2012


Ricordiamo a tutti i nostri amici che il 28 e 29 Settembre presso la  villa comunale di Casoria, si terrà l’evento 

Puliamo il Mondo


in collaborazione con il 
Comune di Casoria e Legambiente.
 Due giorni dedicati al rispetto dell’ambiente e al comportarsi responsabilmente.
Venerdì 28, inoltre, potrete partecipare gratuitamente al concerto di 

Enzo Avitabile

che dopo il grande successo al Festival del Cinema di Venezia riprende 
il suo tour di concerti.
Noi del Presidio Libera Afragola-Casoria ci saremo con un nostro stand insieme alle cooperative e fattorie sociali

IL VIDEO

e  



IL VIDEO



Venite a trovarci, potrete vedere e acquistare tanti prodotti sani, biologici e che nascono su terreni confiscati alla camorra e riscattati! 



Terre vittoriose che portano frutti di speranza per il nostro territorio che ha bisogno e che chiede una nuova primavera.


Clicca la scritta quì in alto  sottolineata, per accedere alla pagina dove potrai scaricare i fogli della querela, che andranno consegnati in 
"copia originale"
presso il nostro stand.

Vi aspettiamo


SITOwww.liberaafragolacasoria.com
emailliberafragolacasoria@libero.it

 Ufficio Stampa: 3204144079


Roma, confiscati i beni del narco imprenditore Ancora mafia “cacio e pepe” sulle sponde del Tevere





Roma, confiscati i beni del narco imprenditore

Ancora mafia “cacio e pepe” sulle sponde del Tevere

di Antonio Turri

Ci sono, tra le altre numerose proprietà, due lussuose ville con vista Circeo, nell’immenso patrimonio del valore di 110 milioni di euro, confiscato ieri dal Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, all’imprenditore romano Federico Marcaccini, 36 anni, soprannominato nel centro storico della città eterna “Er Pupone. Le due ville sul lungomare di Sabaudia, sono confinanti quel quelle del bel mondo della Capitale: volti noti del mondo del calcio , dello spettacolo, della politica e dell'economia con cui nelle assolate giornate estive gli esponenti della 'ndrangheta "cacio e pepe", dividevano le fatiche dell'oziare.

L’imprenditore Marcaccini era stato arrestato dagli uomini della Dia di Catanzaro il 29 novembre del 2010 con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti. La procura distrettuale antimafia di Catanzaro contestava a 77 persone, tra le quali Mearcaccini, di aver costituito un sodalizio criminale con numerosi trafficanti, tra i quali spiccava il nome di Bruno Pizzita, melitese, legato alle cosche di San Luca in provincia di Reggio Calabria e i capi del clan Pelle di Locri. In particolare il gruppo criminale ricorrendo ai consolidati canali di rifornimento stabiliti con i narcotrafficanti sudamericani, importava a Roma e nel Paese notevoli quantitativi di cocaina.Quello che lascia sconcertati è il fatto che il gli investigatori consideravano il giovane imprenditore romano il finanziatore degli acquisti di notevolissime quantità di cocaina dalle zone di produzione in sudamerica effettuati dai narcotrafficanti della ‘ndrangheta. 
La grandissima disponibilità di denaro di “Pupone”veniva confermata nel dicembre 2011, allorquando lo stesso veniva nuovamente arrestato nella Capitale con il socio "omisiss" dai militari della Guardia di Finanza, per associazione a delinquere finalizzata all’abusivo esercizio di attività finanziaria nonché per falso, truffa ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il Tribunale di Roma prendendo atto del fondamento del lavoro degli investigatori della Dia e dei magistrati delle Procure antimafia di Reggio Calabria e Roma ha confiscato l’immenso patrimonio all’immobiliarista romano in affari con le ‘ndrine di San Luca ,di Locri e con il narcotrafficante internazionale Bruno Pizzata, considerata anche la evidente sproporzione tra il non elevato reddito dichiarato dal Marcaccini ed il valore dei beni nei fatti posseduti personalmente o attraverso prestanome

Nel ricco paniere delle proprietà accumulate illecitamente da quest’ultimo,cosi come stabilito con il provvedimento di confisca del Tribunale di Roma, figurano le quote sociali di 32 società di capitali; di cui 26 con sede a Roma; quattro in provincia di Roma e due a Latina, operanti rispettivamente nel settore immobiliare (21 società); edilizio (4 società) alcune nel settore ambientale e tecnologico, 3 società nella conpravendita di autoveicoli, e una per la gestione dei servizi aeroportuali. Sono stati confiscati 1 milione e mezzo di euro e orologi e gioielli di notevole valore. Tra i beni immobili di maggior pregio e valore di mercato figurano, a Roma, anche l’immobile affittato alla società che gestisce lo storico teatro Ghione, in via delle Fornaci (la società affittuaria è risultata completamente estranea ai fatti, ndr); una palazzina con 10 unità immobiliari in via Ripetta; due alberghi di Taormina ed una serie di villette ed appartamenti situati a Fabrica di Roma, Mentana e Rignano Flaminio. La vicenda si inquadra in quel progressivo avanzamento dell’agire delle mafie come sistema economico,politico e culturale capace di contaminare e far si che si possa diventare organici alla ‘ndrangheta pur essendo nati nel quartiere “testaccio” o San Basilio di Roma. 

La Capitale resta uno degli obiettivi delle mafie non più solo per quanto attiene il riciclaggio del denaro sporco ma anche per quanto attiene il traffico degli stupefacenti. E non solo.

Fonte: Liberainformazione.org 27 Giugno 2012

Camorra a Formia: è solo un fantasma? Il sindaco Michele Forte nega la Gomorra nel sud del Lazio e bacchetta le iniziative della rete antimafia di Libera



Camorra a Formia: è solo un fantasma?

Il sindaco Michele Forte nega la Gomorra nel sud del Lazio e bacchetta le iniziative della rete antimafia di Libera

di Antonio Turri

Strana vita quella dei camorristi in trasferta in quel di Formia. Perché i “casalesi” di gomorra,i  post cutoliani e i clan vesuviani dovrebbero soggiornare nelle terre che furono  care a Cicerone,Tiberio e Virgilio?
 Boss e gregari, passato il fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, devono correre,correre e correre per non fermarsi nelle terre del basso Lazio, perché qui si trasformano  in presenze incorporee.

I sindaci del Lazio, salvo poche eccezioni, hanno in tema di mafie e collegati adottato il metodo dell’ Amleto di Wiliam ShaKespeare: trasformano volti, corpi e arti in fantasmi. In questo post paradiso terrestre i sindaci e gran parte della politica non riescono  proprio a vederli i boss. Da Minturno, a Formia, a Gaeta, a Fondi, a Sperlonga, a San Felice Circeo, sino a Latina e a Roma capitale, la camorra che spara e quella imprenditrice c’è, ma non si vede. La camorra, in compagnia di cosa nostra,’ndrangheta e mafie locali, c’è perché lo sostiene da anni la Dia e la Dna nelle varie relazioni. C’è perché di camorristi “blasonati” sono innumerevoli le gesta raccontate nei mattinali di polizia contenuti nei  polverosi faldoni degli archivi degli uffici di polizia,carabinieri e guardia di finanza e nei fascicoli processuali dei tribunali.

 C’è perché con i sequestri e confische dei  beni delle mafie stanziali si potrebbero sanare i buchi nelle finanze di gran parte dei comuni del Lazio. C’è perché i loro capi preferiscono vivere, con famiglie al seguito, sulle spiagge dorate dove, racconta la leggenda, sbarcò Enea. C’è perché vecchi e nuovi capi clan camminano lungo via Vitruvio a Formia,nelle piazze di Fondi e comprano e costruiscono immobili sul litorale laziale e nella Capitale e perché secondo Dia e  magistrati, controllano parte del Mercato ortofrutticolo di Fondi, uno tra i più grandi del Paese ed  il trasporto su gomma di larghi settori dei prodotti dell’agroalimentare  in Italia e in Europa. I boss ci sono  perché  i loro rampolli, secondo gli investigatori dell’antimafia, taglieggiano alcuni albergatori di Gaeta. Perché  all’ avvocato dei “casalesi” sequestrano ville di decine di stanze, vista mare a Sperlonga.

 Camorra e  resto della compagnia criminale c’è perché nelle  carte d’identità dei “mammasantissima” v’è scritto: nato a Casal di Principe, Sessa Aurunca, Mondragone,Giugliano di Napoli, San Cipriano d’Aversa, per parlare della sola camorra, ma residente a Formia, Gaeta, Fondi  a Latina e,  non se la prenda il sindaco Alemanno, a Roma. Nessun sindaco, salvo eccezioni, nomina in pubblico i nomi ed i cognomi di “ questi fantasmi”. Di  questa  vecchia  teoria, che la mafia e sempre più verde nel giardino del vicino e che chi ne parla danneggia la propria città, fatta da gente onesta e laboriosa, uno dei più tenaci sostenitori  è l’attuale sindaco di Formia, nonché presidente del consiglio provinciale di Latina, già senatore della Repubblica  Michele Forte, ex democristiano di fede andreottiana convertito al grande centro del Casini nazionale. Poche sere fa, questo politico di lungo corso, prendendo la parola sul sacrato della chiesa di Sant’Erasmo, a proposito di una recente iniziativa promossa da Libera , da Agesci , da Azione Cattolica e dalla Parrocchia animata da don Alfredo Micalusi, in memoria delle vittime innocenti delle stragi di mafia ha ribadito che Formia è immune dalle azioni delle mafie e che per sparuti elementi, la città di Formia non può dirsi infiltrata dalla camorra.

Quindi tutto quello che di sotto si riporta come operazioni delle forze di polizia e della magistratura  è stata l’opera di fantasmi  ed  il seguito delle visioni di Amleto che avrebbe cosi esclamato: camorra o non camorra questo è il problema …e cosi imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso e dell’azione perdono anche il nome.   Il drammaturgo inglese ispirò cosi il sindaco Forte.

Questo in sintesi stretta quel che è accaduto e accade in quel di Formia come riportato dalla cronaca:

31 maggio 2007. Inaugurato  a Formia un centro di accoglienza per disabili in una villa confiscata alla camorra. La Grande e lussuosa villa fu sequestrata alcuni anni fa sul lungomare della città pontina ed apparteva all'ex vice sindaco Nicola Di Muro di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). La struttura, di circa 900 metri quadrati, ha accesso diretto sul mare e ad una grande piscina.

 23 marzo 2010. Camorra:da casale a Formia. Dalle prime luci dell’alba a formia cinquecento uomini delle forze dell’ordine coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli eseguono 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di appartenenti al clan Mallardo di Giugliano in Campania. L’operazione viene denominata Arcobaleno, dal nome della società immobiliare, finita nel mirino degli investigatori. Sequestrati beni per decine di milioni di euro. Tra questi un terreno e una casa vista golfo di Gaeta proprio di fronte la tomba monumentale di Cicerone,appartamenti,socità commerciali.

 20 aprile 2010.Gli appetiti della mala sulle aree dismesse di Formia balzano alle cronache. Già nel  giugno 2008  un incendio doloso distrugge l'ex Blue Fish, stabilimento da tempo fallito al centro di un'aspra battaglia fra i suoi creditori ed il Consorzio Industriale del Sud Pontino.

22 giugno 2010. Audizione dell’ex Sostituto Procuratore antimafia Luigi De Ficchy- Conosciamo anche alcune realtà del sud pontino, come Fondi  e di zone adiacenti, come Formia, in cui insistono alcuni gruppi criminali notissimi che da tempo hanno colonizzato queste zone con delle attività troppo spesso svolte in situazioni di assoluta legalità, almeno dal punto di vista esterno e superficiale.

 
18 marzo 2011. Formia connection. Il tribunale di Latina ha irrogato quattro condanne per estorsione ai danni di una cooperativa che lavorava per il comune.Tra i condannati esponenti del clan Bardellino …

10 dicembre 2011. Formia avamposto laziale dei Casalesi. Affari, politici e camorra. Nell'ordinanza di arresto il racconto del controllo territoriale e non da parte  delle famiglie criminali più importanti del Casertano. Rilevati rapporti con politici e dirigenti della Camera di commercio… Già nella relazione della Direzione investigativa antimafia  nel 2009 si legge: "Nella provincia di Latina sono ancora le aree di Formia e Fondi a rappresentare i poli di maggior interesse investigativo"quelle successive continuano a parlare di "fantasmi" in tutta l'area in fase di avanzamento verso Roma e il nord del Paese.
Potremmo continuare ma per il sindaco Michele Forte mafia,corruzione e affari sporchi sono lontani dai “suoi” territori e non riguardano la “sua” Formia e la provincia di Latina che amministra tra alti e bassi da moltissimi anni. 

Da Formia, a Fondi ad Aprilia solo fantasmi. La camorra, la mafia e la ‘ndrangheta nel basso Lazio? Un’invenzione di qualche prete o giornalista.

Fonte: Liberainformazione.org 6 Giugno 2012

Beni confiscati, nasce la rete Un progetto coordinato da Libera e la Cei coinvolge 45 diocesi e punta alla redistribuzione sociale del patrimonio dei boss




Beni confiscati, nasce la rete

Un progetto coordinato da Libera e la Cei coinvolge 45 diocesi e punta alla redistribuzione sociale del patrimonio dei boss


di Antonio Maria Mira

Le diocesi di Aversa, di Napoli, di Oppido-Palmi, di Crotone, di Agrigento, di Mazara del Vallo, di Trapani e di Piazza Armerina. Le parrocchie di Mondragone, Cerignola, Reggio Calabria, Gioia Tauro, Polistena. Caritas diocesane del Nord, del Centro e del Sud. Gruppi scout Agesci e associazioni di volontariato. Sono decine ormai le realtà della Chiesa italiana che gestiscono beni confiscati alle mafie. Luoghi di riscatto, di testimonianza, di educazione, di giustizia. Storie "vecchie" ormai di più di dieci anni. Esperienze che vanno incrementate, sostenute, rafforzate, messe in rete. È lo spirito con cui nasce il progetto "Libera il bene - Dal bene confiscato al bene comune", promosso da tre organismi della Conferenza episcopale italiana e dall'associazione Libera, che in questi giorni sta iniziando il suo cammino. 

L'iniziativa che vede coinvolti l'Ufficio nazionale per i Problemi sociali e del lavoro, il Servizio nazionale di Pastorale giovanile e la Caritas italiana, è in questa prima fase indirizzata a 45 diocesi in 17 regioni, del Nord, del Centro e del Sud. Perché mafie e beni confiscati, ormai è noto a tutti, non sono solo legati al Mezzogiorno. Il progetto, come si legge nella lettera inviata ai delegati regionali e diocesani, prende spunto dalle riflessioni di due documenti dei vescovi italiani. Il primo è la nota pastorale Educare alla legalità del 1991 nella quale si ricordava come «il senso della legalità non è un valore che si improvvisa. Esso esige un lungo e costante processo educativo». Nel secondo, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, del 2010, dopo aver ribadito che «le chiese hanno fatto sorgere e accompagnano esperienze di rinnovamento pastorale e di mobilitazione morale» nella lotta alle mafie, si citavano le cooperative del Progetto Policoro, «alcune delle quali lavorano con terreni e beni sottratti alla mafia». Proprio partendo da queste affermazioni il progetto, si legge ancora nella lettera, «intende continuare e rafforzare l'opera di sensibilizzazione e supporto alla gestione dei beni confiscati alle mafie, diffondendo l'idea di una redistribuzione sociale delle risorse illecitamente sottratte alla collettività». 

L'obiettivo, si legge invece nel programma dell'iniziativa, è quello «di promuovere interventi integrati in grado di combinare in maniera efficace e funzionale la promozione del valore della legalità e il sostegno allo sviluppo locale del territorio». Un progetto molto concreto che vuole «sviluppare le conoscenze e le competenze in materia» e «promuovere un maggiore confronto territoriale». Insomma, 



"fare rete".

 Proprio in questo senso si comincerà col «censimento delle esperienze positive e delle buone prassi già realizzate dalle varie espressioni di Chiesa», che sono davvero tante, «in modo da favorire percorsi di reciprocità e di sostegno». Anche perché «molte di queste realtà sono deboli e alcune di esse hanno subito intimidazioni e danneggiamenti come atti di ritorsione delle organizzazioni mafiose». Il secondo passo sarà «animazione e formazione per promuovere nuove opportunità di riutilizzo dei beni confiscati». È così previsto un ciclo di seminari formativi nelle 45 diocesi, con la partecipazione di docenti universitari, magistrati, rappresentanti dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni confiscati e delle prefetture. 

Vi saranno, inoltre, testimonianze delle esperienze positive realizzate. Seguirà la pianificazione di interventi, per ogni diocesi, per un concreto ed efficace utilizzo dei beni. Anche con visite guidate di giovani, campi di volontariato per gruppi parrocchiali e scout. E questo, conclude la lettera, per «trasformare i beni confiscati da beni posizionali (che ostentano il potere mafioso) in beni relazionali, capaci di creare relazioni di comunità».

Fonte: Libera informazione. org 18 Settembre 2012

COMUNICATO STAMPA Il riutilizzo sociali dei beni confiscati alla luce del nuovo codice antimafia. Problemi e prospettive territoriali





COMUNICATO STAMPA


   Il riutilizzo sociali dei beni confiscati alla luce del nuovo codice antimafia.
                    Problemi e prospettive territoriali

Un convegno dibattito per attraversare le fasi del complesso iter che porta al riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. 
Dalle complesse indagini patrimoniali, al sequestro e alla confisca per poi giungere alle amministrazioni territoriali. Qui si animano le autonomie locali. 
Mettono in campo strumenti di coordinamento e buone pratiche per garantire la restituzione alla collettività di patrimoni che, sono stati sottratti alle mafie con la forza della legge e che erano stati tolti ai cittadini con la forza della violenza e della sopraffazione. Poi l'intervento della società civile e del mondo dell'associazionismo. E il tentativo di solcare le vie di una nuova cultura del riutilizzo sociale dei beni confiscati; che sottolinei l'esigenza di dialogo tra le istituzioni e la cittadinanza attiva perché quella parola legalità assuma finalmente un significato, più precisamente diventi segno tangibile di una conversione territoriale.


Di tutto questo si discuterà il 12 aprile 2012, ore 16.30 presso la Biblioteca comunale di Afragola (Na) in Via Firenze 33



Per  info :


email: liberafragolacasoria@libero.it


Ufficio stampa3204144079

LA FELICITA’ al 416 BIS






LA FELICITA’ al 416 BIS


Un Libero Pensiero da Libera, Presidio Afragola – Casoria

La felicità è uno stato d’animo che interessa tutti gli esseri viventi, anche i “gufi” vivono la felicità.
Vi è chi nasce con la felicità già legata alle molecole del proprio Dna ma vi è pure chi vi nasce senza.
La felicità è un qualcosa che è incamerata dentro di noi, nei ventricoli del nostro cuore e che funge da adrenalina ma vi è chi “metaforicamente” un cuore non lo h
a, si ritrova solo un muscolo compressore che batte senza un principio di causa, un cuore che batte a vuoto, che nel suo inconscio si sente oppresso e solo, un cuore in gabbia.
E un essere con un cuore così che Felicità potrà vivere?
Una Felicità alla Pinocchio nel “paese dei balocchi” fatto di finti giochi dove il gatto e la volpe sono in lotta perenne con la “Fatina” ,dove ad animare la propria quotidianità ci potranno essere solo burattini attaccati a fili di zucchero filato e che lanciano fumo negli occhi, aventi anche essi lo stesso cuore, un quotidianità con un “sole” finto senza raggi e senza calore!
Una Felicità del genere non dura in eterno, prima o poi quel muscolo compressore cesserà la sua insensata attività, il “Sole” finto si spegnerà e una luna finta fatta di plastica ne prenderà il posto.
A quel punto quell' essere dal cuore falso e con il coraggio di cartone si sentirà perso in quel buio, dove anche quei burattini si rifiuteranno di porgergli la mano per aiutarlo a risalire il pozzo in cui è nato. Non avrà neanche il coraggio di alzare la testa per vedere gli ostacoli che lo aspettano.
Solo allora si renderà conto di aver vissuto per tutti quegli anni una
 FELICITA’ al 416 bis.



Una legge per la democrazia Il 416 bis e la confisca dei beni ai mafiosi, trent'anni di lotta alle mafie nel nostro Paese






Una legge per la democrazia

Il 416 bis e la confisca dei beni ai mafiosi, trent'anni di lotta alle mafie nel nostro Paese



di Davide Pati - Ufficio di presidenza beni confiscati, Associazione Libera

Trent’anni fa, il 13 settembre 1982, veniva approvata la legge n. 646, nota come “legge Rognoni – La Torre”, che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso (articolo 416 bis) e la confisca dei beni alle organizzazioni criminali. Due disegni di legge, presentati rispettivamente dall’on. Pio La Torre e dal ministro dell’Interno Virginio Rognoni, confluirono in un testo normativo che ha segnato una svolta decisiva nella lotta alle mafie nel nostro paese. Una legge per la democrazia la potremmo definire, perché fu proprio Pio la Torre ad affermare come “dobbiamo considerare la lotta alla mafia un aspetto molto importante e decisivo, non a sé stante, ma nel quadro della battaglia più generale per la difesa dello stato democratico”.
Anche il figlio Franco La Torre, in occasione di un recente dibattito in memoria del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ha ricordato come quello di suo padre fu l'impegno di una vita per il riscatto della propria terra e delle persone dalla loro posizione di subalternità democratica.
Alcuni magistrati siciliani impegnati nel contrasto alle organizzazioni mafiose contribuirono alla stesura e alla formulazione tecnica della legge. Fu Rocco Chinnici uno dei primi a tradurre in azioni giudiziarie quei nuovi strumenti normativi, insieme con il pool investigativo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo. Dopo la sua tragica morte, l’applicazione della legge proseguì grazie all’impegno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uniti attorno alla nuova guida di Antonino Caponnetto.

In Sicilia, in quegli anni, ricordiamo anche il giudice Rosario Livatino che aveva iniziato le indagini patrimoniali alla mafia agrigentina. Oggi quei beni confiscati, dopo anni di abbandono, sono gestiti dai soci della cooperativa nata con bando pubblico e dedicata al giovane magistrato ucciso il 21 settembre 1990. La valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, quindi, costituisce un’opportunità unica e irrinunciabile per creare lavoro pulito, esperienze concrete di buona economia che offrono segnali di fiducia in un periodo di crisi etica ed economica, su cui innescare un processo di sviluppo partecipato. Per generare reti di comunità e di infrastrutturazione sociale, per togliere il consenso alle mafie.
La prossima settimana, in un bene confiscato diventato base scout dell’Agesci nel comune di Naro, si svolgerà la prima summer school intitolataGiovani, innovazione e imprenditorialità”, nella convinzione che la linfa vitale di qualunque programma di coesione territoriale, si genera con le migliori energie, passioni, intelligenze e volontà per il cambiamento.

E tutto questo è stato reso possibile grazie alla partecipazione democratica di tanti cittadini in tutta Italia, più di un milione furono infatti coloro che nel 1995 firmarono una petizione popolare – promossa dall’associazione Libera - per far approvare la legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Un principio che deve restare una priorità assoluta per affermare che la legalità conviene. I tanti beni confiscati e assegnati alle associazioni, alle cooperative e ai giovani, rappresentano un 

"bene comune"

un patrimonio da difendere e rafforzare per far rivivere la memoria di chi ha perso la vita in nome di quei valori sanciti dalla Costituzione e che alimentano la nostra democrazia.
Oggi la legge Rognoni La Torre e la legge n.109/96 sono confluite nel nuovo Codice delle leggi antimafia. Un’iniziativa legislativa positiva nelle premesse, ma che alla fine si è rivelata una raccolta normativa incompleta e con molte lacune ed ombre. In questi mesi tante sono state le voci provenienti dalla magistratura, dalle forze investigative, dagli enti locali, dal mondo accademico, economico e sociale, che si sono alzate per chiedere un intervento correttivo al testo approvato lo scorso anno, al fine di superare le criticità presenti e rendere pienamente operativa e funzionante l’Agenzia nazionale.

A partire da quel salto di qualità richiesto nella gestione dei beni aziendali, per riportare nella legalità intere filiere produttive (ad es. nel settore del calcestruzzo, dei trasporti, dell’agroalimentare) ancora condizionate e inquinate dalla presenza mafiosa. Oggi risultano solo 35 aziende ancora attive sul mercato e in cerca di una destinazione diretta alla prosecuzione dell’impresa, su un totale di circa 1600 confiscate dal 1982 ad oggi. Il resto per la gran parte fallite, chiuse e liquidate.
Così come ci sono più di 1500 beni immobili ancora bloccati dalle ipoteche bancarie. Già alcuni istituti di credito di rilevanza nazionale hanno dimostrato che si può trovare una soluzione adeguata per la loro cancellazione. Ma non bastano esempi isolati. Su questo tema è in gioco la credibilità del sistema creditizio che può e deve fare la sua parte nel contrasto alle organizzazioni mafiose.

Ne è convinta anche la Commissione europea che nella proposta di direttiva presentata nel marzo scorso, ha scritto 

la confisca dei beni viene inclusa tra le 


iniziative strategiche nell’ambito di 

un’iniziativa politica più ampia destinata a 

tutelare l’economia lecita da infiltrazioni 

criminali,  contribuendo alla crescita e 

all’occupazione in Europa

Principi che sono stati alla base della nascita di Flare – la prima rete europea per i diritti, la legalità e la giustizia, contro le mafie e la corruzione transnazionali – che ha portato tanti giovani a rafforzare il senso di appartenenza all’Unione europea. Riscoprendo le sue radici in quei valori di pace e democrazia post conflitto mondiale dei padri fondatori e, allo stesso tempo, rinnovando il proprio impegno e responsabilità di cittadini europei.

Fonte: Libera Informazione.org 13 Settembre 2012

Lì dove è stato versato del sangue ora "lavorano" i contrabbandieri






Lì dove è stato versato del sangue ora "lavorano" i contrabbandieri

Lettera  inviata da un lettore alla  rubrica 
"Dillo al Mattino"


Andando a messa nella chiesa di S. Mauro a Casoria, mi sono profondamente indignata nel vedere che proprio di fronte al bar dove pochi mesi fa c'è stato un omicidio e ha perso la vita il gestore, un ragazzo innocente, si è impiantata in pianta stabile una bancarella di contrabbandieri di sigarette che li non c'è mai stata. 

Qualcuno ha cacciato fuori la solita storia della crisi, ma io non ci sto.
 Secondo me è semplicemente vergognoso, è un messaggio sbagliato per tutti, è veramente un'offesa alla legalità.

Fonte: Mattino.it 10 Settembre 2012


Una  Considerazione in merito a questa lettera da Libera 
Presidio Afragola - Casoria 

E’ assolutamente inaccettabile questa nuova beffarda primavera del contrabbando di sigarette e lo è ancor di più quando questo avviene in un luogo dove si è consumata la tragica morte di Andrea Nollino. Chiediamo ad alta voce un intervento immediato delle forze dell’ordine affinchè non si vedano più scene del genere a Casoria come ad Afragola e principalmente in quella piazzetta. E’ davvero mortificante per tutti i cittadini onesti che, nonostante una tragedia del genere, continuano a chiedere il rispetto delle leggi. La lettera inviata al sito de ilmattino però non ci fa perdere le speranze, è il segno che c’è ancora qualcuno che non si è abiutato al detto “è cos e’ nient”.



Don Ciotti: Ai ragazzi, non bastano le parole




Don Ciotti: Ai ragazzi,
 non bastano le parole

di Elisa Chiari

Ricomincia la scuola, da vent’anni almeno tra i banchi si parla regolarmente di legalità. Le statistiche ci dicono però che il malaffare nel Paese è tuttora epidemico. E’ solo troppo presto per fare bilanci o c’è qualcosa da migliorare? L’abbiamo chiesto a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che su questa scommessa ha speso tanta parte della sua vita.
« Ci sono due volti », spiega, «uno molto positivo fatto del lungo e generoso impegno educativo di insegnanti, animatori, anche di istituzioni, i cui frutti si cominciano a toccare con mano, per esempio negli oltre seimila giovani che hanno sacrificato le loro vacanze a lavorare nelle terre confiscate alle mafie. Lo dico ben sapendo che l’educazione è un lavoro di lungo periodo. L’altro volto, però, è fatto di tante contraddizioni: legalità è parola abusata, di cui si riempiono la bocca anche coloro che vorrebbero applicarla a tutti meno che a sé stessi. C’è dell’altro: senza responsabilità individuale e giustizia sociale, la legalità diventa pura facciata, dietro cui si nascondono sopraffazioni ».
Don Ciotti ha qualche suggerimento da dare anche ai progetti che si fanno nella scuola: « E’ importante che non siano standard, ma calati nel contesto. Per incidere devono prevedere un percorso, che non può limitarsi all’ascolto di testimonianze per quanto forti. Dobbiamo imparare tutti a dialogare di più con i ragazzi: educare con efficacia alla legalità implica esperienza e vita vissuta, ai ragazzi servono punti di riferimento coerenti e credibili, che non calino dall’alto il sapere, che li accompagnino a trovare una propria forma non necessariamente assimilata alla nostra» . Il problema spesso non è nella ricettività dei ragazzi, ma nella coerenza degli adulti: « I ragazzi notano le contraddizioni tra ciò che si dice e ciò che si fa, se parlo di lotta alla mafia, ma faccio leggi che depotenziano le indagini contro la corruzione, che della mafia è l’anticamera, non sono credibile. A chi mi dice se la nostra coscienza civile sia sufficientemente sviluppata non posso che rispondere con un onesto “ancora no” : il problema non è solo in chi fa il male, è anche nei troppi che si voltano dall’altra parte».

Fonte: Famiglia Cristiana  8 Agosto 2012