"Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo"

Paolo Borsellino

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

SPORTELLO SOS GIUSTIZIA

A due anni dal crollo, di via Calvanese








A due anni dal crollo, di via Calvanese


Di Libera Presidio Afragola- Casoria


Il 31 Luglio 2010, in via Calvanese, una piccola stradina nel centro storico di Afragola, erano appena passate le due della notte,quando il tranfusto di una folle pioggia che tergiversava da giorni, nascondeva la reale tragedia che si stava consumando in quegli attimi.
Un intero fabbricato , che sporgeva sulla strada, in pochi secondi divenne un ammasso di pietre e calcinacci, sembrava fosse passato un buldoozer .
Sotto quelle macerie, trovarono la morte Pasquale 33 anni ed Enrica 29, marito e moglie neo sposi, e Anna una nonna di 75 anni, che ospitava da lei per farle compagnia, la sua nipotina Imma di 10 anni, unica sopravvissuta .
Dalle macerie si scorge la struttura di base dell’ edificio, fatta con travi in legno, tipiche degli anni cinquanta, quando si costruiva senza licenza e piani regolatori.
Dagli incartamenti si evinse che la costruzione del primo piano, dove era situato l’alloggio di Pasquale e Enrica aveva subito pesanti modificazioni strutturali interne , compiute abusivamente senza le giuste licenze e i giusti controlli da parte delle autorità competenti poste alla sorveglianza del territorio.
Questa tragedia non ha colpito Anna, Enrica e Pasquale , ma tutti noi, questo deve farci pensare:perché in una città come Afragola, come si evince dalle statistiche nazionali degli abusi edilizi, il 75 % delle abitazioni sono di natività costruttiva abusive, la maggior parte di queste in seguito all’approvazione di piani regolatori,” promessi nelle campagna elettorali”, con il pagamento del condono, diventano “su carta” case costruite rispettando le normative di legge e con materiale provvisti di marchio C.E.
L'abusivismo edilizio è unodei maggiori intriiti per la criminalità organizzata che decide il prezzo da pagare per ogni solaio da costruire e la scelta dei rifornitori di materiale edile, quel prezzo è più conosciuto come “tangente”, il quale incide sulla qualità dei materiali per la costruzione dei fabbricati, perché gli imprenditori edili pur di lavorare sottocosto, risparmiano sulla qualità dei materiali di costruzioni, utilizzando quelli più scandenti.
Questa mafia che ormai decide per noi a 360° e non solo su quello che ci capita di acquisire nel prosieguo della nostra quotidianità, ma anche quelle strutture alle quale affidiamo parte della nostra vita, quella mafia che con l’utilizzo delle sue imprese utilizzate per riciclaggio di denaro sporco riesce a tenere a portata di mano, interi appalti che interessano anche più comuni, monopolizzando tutta l’economia cittadina e non.
La stessa mafia, che corrompe funzionari pubblici per falsificare documenti che permettono la costruzione di interi edifici, illudendo il controllo delle autorità competenti, poiché quelle costruzioni risultano su carta, rispettare le norme di costruzioni emanate dalle leggi comuni. Questo lo si evince anche dall’ ultima Richiesta d’accesso da parte della Procura della Repubblica di Napoli, che determinò per la seconda volta nel 2004, lo scioglimenti dell’amministrazione comunale, per infiltrazione mafiosa.
Va sottolineato che già nel 1998, per la prima volta, l’amministrazione comunale di Afragola fu sciolta per infiltrazione mafiosa.
Da questo si deduce la generale pericolosità delle nostre case, tirate sù nel corso di brevi notti, per scampare a fermi giudiziari, che puntualmente vengono rimossi per continuare a procedere con i lavori, per permettere l’ultimazione del fabbricato.
Anna, Enrica e Pasquale se non ci sono più è perche qualcuno ha deciso anche per loro il prezzo, i materiali e tempi.
Imma a soli 10 anni, ha dovuto combattere per quelle interminabili e indimenticabili ore, non solo contro la paura della morte, ma anche contro l’arroganza di certi esseri, che fa della sofferenza delle persone, la loro sovranità.
Passeranno anni, ma le famiglie di Anna, Enrica e Pasquale, non riusciranno mai a dimenticare la fine dei loro cari, schiacciati sotto quella montagna di cemento, che non ha fermato gli sciacalli della zona, che sono arrivati persino ad ospitare fotoreporter, presso i loro balconi, pretendendo da questi sino a essere pagati 50 euro per ogni singolo scatto fotografico, che riprendesse l’accaduto.
Oggi sono due anni da allora, e dove era situato l’edificio , ci si imbatte in una pavimento di detriti frantumati che coprono quella voragine, come se si volesse coprire un qualcosa, quel qualcosa che evidenzia le responsabilità di organi delle istituzioni.
Perchè se chi avesse dovuto fare il proprio dovere l'avrebbe fatto correttamente, oggi Anna,Enrica e Pasquale sarebbero ancora vivi, ancora tra noi, a sognare una famiglia e un futuro da nonni con i loro nipoti.
Bisogna ricordare quotidianamente questi tre nomi e le loro storie, proprio quì dove si tende sempre a dimenticare questi avvenimenti tragici, solo in questo modo si può capire il dramma che si vive dinanzi ad una simile tragedia, perchè solo ricordandoli si potrà capire che queste tragedie possono accadere a chiunque di noi e che i propri sacrifici non possono fermare il malaffare di certi orchi, nè tantomeno simili tragedie, ma soltanto comportandosi da cittadini attivi e non accettando facili compromessi.

Si attende la  magistratura, per   svelare quali siano le vere  cause  di quel crollo e chi dovrà pagare!

Da Liberafragolacasoria.com  31Luglio 2012

Non si può morire, senza sapere il perchè!





Non si può morire, 

senza sapere il perchè!



di  Libera Presdio Afrgola - Casoria



“La comunità parrocchiale di san Mauro promuove un presidio di legalità contro ogni forma di violenza e intolleranza” si legge nel manifesto affisso per celebrare il trigesimo di Andrea Nollino, vittima di proiettili vaganti sparati da quei soliti ignoti.


E’ passato un mese circa dall’episodio delittuoso e nulla sembra cambiato : “invitiamo la cittadinanza a collaborare anche in forma anonima” tuona il vice questore Luciano Nigro, perché, ricorda, che un aiuto concreto , oltre con la vicinanza alla famiglia, si manifesta collaborando con forze dell’ordine, offrendo quegli elementi utili per trovare i responsabili che non hanno ancora un volto e nome. 

Prima che iniziassero le celebrazioni religiosi, in quel fazzoletto di strada che si trova tra la chiesa di San Mauro, il Bar di Andrea, dove è avvenuto l’episodio omicidiario, e la sua casa, c'è stato questa sorta di presidio di legalità, questa discussione corale dove sono intervenuti sindaco, diversi rappresentati di associazione, e finanche la vedova di Antonio Coppola, edicolante ucciso un due anni fa dalla barbaria di strada.

La vedova Coppola , con voce commossa e in modo sentito, ha letto una lettera esprimendo massima vicinanza alla famiglia, unita dal suo stesso dolore.

E l’appello di responsabilità civile e collettiva promosso dall’associazione Libera , si inseriva su questa lunghezza d’onda, ricordando tutte le vite innocenti stroncate da una violenza che non possiamo accettare come normale,
“Dobbiamo sentire sulla nostra pelle quei proiettili".


Tuttavia, se questa è la fotografia del presidio di legalità spontaneo che si è venuto a creare a partire da quella morte assurda; esiste la fotografia di un’altra realtà, che si sovrappone e cancella a tratti questo tentativo di rinascita sociale .

La fotografia dell’omertà, o peggio l’indifferenza che alberga intorno: c’è chi è rimasto in casa, non partecipando neppure alla fiaccolata, celebratosi un mese fa, subito dopo la morte di Andrea . E anche al trigesimo, hanno partecipato poche persone, per lo più conoscenti e parenti della vittima, senza che quell’episodio toccasse davvero la coscienza dell’intera comunità cittadina. Nonostante sugli articoli di giornali si ipotizzavano altre piste , nessuno ha davvero collaborato, neanche in forma anonima con gli organi di polizia. C’è chi addirittura non ha rispettato il lutto cittadino; chi ha manifestato insofferenza per il fatto che non venisse celebrata la festa di San Mauro, e chi ancora oggi vuole rompere quel lutto cittadino con altri tipi di celebrazioni. Insomma, la vera condanna non è solo la mano assassina di criminali, ma quel silenzio, connivenza intorno che permette a questi ultimi di dettar legge. 


Secondo il rapporto semestrale della Dia, Casoria è una città “ad alta densità criminale”, e questo dipende anche da quegli atteggiamenti di silenzio e connivenza.

 Allora contare è necessario. Raccontare tutti i nomi innocenti dei caduti di questa guerra assurdo, è d’obbligo:


Emilia Parisi, dodici anni fa muore massacrata in casa a mani nude da ladri: non si conoscono ancora i nomi degli assassini.

Due anni dopo, Stefano ciaramella, ucciso a 17 anni da un sedicenne perché aveva difeso la sua fidanzata.
Poi tocca a Nicola Ferrara, 21 anni, muore per difendere il padre da due pregiudicati che lo freddarono davanti agli occhi di madre e figlia.
 Due anni fa è morto l'edicolante Antonio Coppola per aver rimproverato un ladro d'uva.
Un anno fa a Casoria  venivano assassinati idue vigilantes Gerardo Citarelli e Pino Lotta, uccisi da rapinatori mentre svolgevano il loro lavoro; e oggi muore il Andrea Nollino.


Se avessimo tutti sentito la responsabilità di questi silenzi, forse questa lista sarebbe stata diversa.

Ad uccidere non sono stati solo quei criminali, purtroppo!

Fonte: Liberaafragolacasoria.com  28 Luglio 2012

Francesca Viscone minacciata dall’autore di “Canzoni della malavita”






Francesca Viscone minacciata dall’autore 

di “Canzoni della malavita”


di Daniele Ferro

“Vi rovino” ha detto il fotografo Francesco Sbano facendo irruzione al Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, minacciando gli operatori e la giornalista, insegnante, esperta, che da oltre dieci anni lo accusa di attuare una subdola strategia culturale per spacciare i valori mafiosi per cultura popolare, occultando il volto sanguinario della criminalità organizzata. Viscone: «Sapevo di essermi fatta dei nemici ed ora sono preoccupata»
È entrato nel Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria in un tardo pomeriggio di fine maggio e ha minacciato gli operatori presenti e Francesca Viscone, insegnante e giornalista free-lance (che collabora anche con il Quotidiano di Calabria) che non era però presente. «Voi ci state causando un sacco di danni. Vi rovino», ha gridato in tono inequivocabile Francesco Sbano, fotografo calabrese nato a Paola e residente ad Amburgo. Ad ascoltare le urla c’erano tre giovani collaboratori di Claudio La Camera, coordinatore del museo. Come riferisce l’associazione “Libera” in un comunicato di solidarietà, Sbano ha apostrofato Francesca Viscone in tono offensivo, con «il solito epiteto che gli uomini a corto di idee riservano alle donne».
Francesco Sbano non accetta le analisi critiche della giornalista, esperta della materia, che negli ultimi anni ha espresso le sue opinioni negative sul valore della trilogia di Sbano “Canzoni di malavita”, prodotta con successo dal fotografo (in Germania sono state vendute circa 150mila copie). E tantomeno Sbano ha gradito il fatto che il Museo usi alcune canzoni della sua trilogia nei laboratori di educazione alla legalità nelle scuole, presentandole come esempio negativo di esaltazione dei valori mafiosi.
Dopo l’irruzione di Sbano al Museo della ‘ndrangheta, La Camera ha presentato una denuncia per minacce alla procura antimafia di Reggio. Neppure vuole lasciare correre e sta preparando una memoria per raccontare ai magistrati il suo lavoro degli ultimi dieci anni. «Insegno tedesco a Lamezia Terme, ho vissuto in Germania – spiega la giornalista – e mi sembrava strano che i canti di ‘ndrangheta avessero avuto così tanto successo. Ho approfondito il tema, ho intervistato Sbano e nel 2000 ho scritto un articolo critico per il mensile della Regione Calabria».
Nessuna reazione del fotografo di Paola, fino al 2005, quando Viscone stava per pubblicare con l’editore Rubbettino il libro La globalizzazione delle cattive idee. Mafia, musica, mass media. «Sbano telefonò a me e alla casa editrice – racconta l’autrice – e chiese che il libro non fosse pubblicato. Si sentiva diffamato. Fece mandare anche una lettera da un avvocato, ma il librò uscì lo stesso. Sbano non l’ho sentito più». Alla fine di maggio una telefonata di La Camera ha informato la giornalista di quanto era accaduto al museo di Reggio.
«Dopo l’uscita degli album e i concerti – dice Viscone – alcune testate giornalistiche europee e americane hanno parlato di questi canti (che ricordano a loro modo anche l’omicidio del generale Dalla Chiesa, ndr) presentandoli come manifestazione della cultura popolare calabrese. Die Zeit, Der Spiegel, Le Monde, Newsweek e il Times hanno inviato corrispondenti in Calabria e intervistato sedicenti boss mafiosi grazie alle conoscenze di Sbano. Nel mio libro ho spiegato che la diffusione delle canzoni di ‘ndrangheta non è un’operazione culturale fine a se stessa, ma fa parte di una strategia comunicativa che ha l’obiettivo di diffondere i valori mafiosi in Germania nascondendo il potere della ‘ndrangheta».
In questi anni Francesca Viscone ha scritto vari saggi sulla questione. Recentemente ha scritto un articolo per Narcomafie. Sbano è un professionista apprezzato in Germania (Der Spiegel pubblica le sue fotografie ed elogia la capacità del fotografo di stabilire contatti con i boss) e anche in Italia: il suo documentario “Uomini d’onore”, in cui personaggi incappucciati pronunciano frasi come «se muore l’onorata società muoiono pure i calabresi», è stato distribuito da Cinecittà Luce e premiato nel 2006 dalla fondazione Corrado Alvaro.
I canti di ‘ndrangheta si trovano anche nelle biblioteche di Milano. L’ultima opera del fotografo di Paola è il libro “Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio”, pubblicato in Germania.«Sbano è bravo nel suo lavoro – dice Viscone – e ha contatti importanti nel mondo del giornalismo europeo. La sua idea che la ‘ndrangheta sia cultura tradizionale e che appartenga solo alla Calabria è molto tranquillizzante all’estero: se si tratta di una cultura tipica, da altre parti non può attecchire. I giornalisti stranieri hanno una grande responsabilità, non capiscono che invece così vengono trasmessi i valori mafiosi. In Italia i miei scritti hanno fatto perdere credibilità al lavoro di Sbano: dopo un forte interesse iniziale, dieci anni fa, i giornalisti non hanno più parlato della sua trilogia».
I canti di ‘ndrangheta però continuano a fare discutere. Il volume fotografico sulla mafia “Malacarne”, di Alberto Giuliani, è uscito con allegati gli album prodotti da Sbano. Alle fotografie sono stati accostati interventi di Rita Borsellino, Nicola Gratteri, Roberto Saviano e altre persone che lottano contro la mafia, ignare che insieme ai loro scritti sarebbero state diffuse le canzoni della ‘ndrangheta. Anche di questo Viscone ha scritto, sul Quotidiano della Calabria e nel libro e sul blog Strozzateci Tutti.
«Ho sempre saputo di essermi fatta dei nemici, con tutti questi articoli. Quello che mi colpisce adesso – spiega la giornalista – è l’irrazionalità del comportamento di Sbano: come può pensare di minacciare impunemente delle persone davanti a testimoni e alle telecamere di videosorveglianza? Credo che alla base ci sia la sua convinzione di riuscire a intimorire, di ottenere il silenzio, perché lo stereotipo vuole che in Calabria non si ribelli nessuno e l’epiteto con cui sono stata ingiuriata dimostra che l’ideologia maschilista non tollera reazioni da parte delle donne». «Quando vengono smentiti questi preconcetti su cui si pensava di costruire il successo – conclude – è facile che ci siano reazioni incontrollate. È questo mi preoccupa».
Francesca Viscone è la decima giornalista minacciata in Calabria nel 2012.

da www.ossigenoinformazione.it

Fonte: Narcomafie.it 26 Luglio 2012

Rita Atria: il dovere della testimonianza






Rita Atria: il dovere della testimonianza

Parlano i giudici Camassa e Tarondo: Vent' anni dopo la politica non e' cambiata


 di Rino GIacalone

C’è una tomba in Italia dove da 20 anni non c’è scritto il nome di chi vi è sepolto. C’è la foto, ma il nome no. Quasi fosse non pronunziabile e quindi nessuno deve leggerlo. Solo per poco tempo su questa tomba, nel cimitero di Partanna, Valle del Belice, vi fu posta una lapide, un libro di marmo dove c’era scritto Rita Atria; lei fu la giovane testimone di giustizia morta suicida a Roma il 26 luglio del 1992, sconvolta dalla strage che le aveva ucciso quello che era diventato per lei il suo nuovo padre, Paolo Borsellino. 

Ma la mamma della giovane, vedova di mafia, andò presto a distruggere quelle lapide. Giovanna Cannova continuò a rinnegare la figlia Rita anche quando questa morì suicida lanciandosi nel vuoto dal sesto piano di una palazzina di via Amelia a Roma, dove era sotto custodia del servizio protezione collaboratori di giustizia, lei non era una “pentita” ma una testimone di giustizia. Rita era stata ripudiata dalla madre per essere diventata “testimone”. Aveva 17 anni quando a Borsellino, Rita Atria svelò l’incredibile conoscenza della mafiosità che aveva fino ad allora respirato: suo padre, Vito Atria, era uno di quelli che passava per “ntiso” nel suo paese, Partanna, Valle del Belice, provincia di Trapani.Don” Vito era un mafioso vecchio stampo, faceva parte di quella mafia che già allora parlava con la politica e che però non voleva sporcarsi le mani con la droga e a quell’epoca significava mettersi contro i corleonesi che invece stavano riempiendo il trapanese di “raffinerie” di eroina

Don Vito Atria aveva 45 anni quando lo ammazzarono nel 1985. Passarono sei anni e toccò stessa sorte a Nicola Atria, figlio di don Vito e fratello di Rita. Lo andarono ad ammazzare nella sua pizzeria di Montevago, lui riuscì ad allontanare da se la moglie, Piera Aiello, in tempo prima che il piombo lo fulminasse per sempre. Era il 1991 e una sera il sostituto procuratore di Marsala Alessandra Camassa ricevette una telefonata dal suo capo, il procuratore Paolo Borsellino: “Mi disse – ricorda il magistrato - che l’indomani di buon mattino dovevo essere in ufficio per ascoltare una persona”. Era Rita Atria, per cercare vendetta decide di usare la giustizia. 

Ma presto accade altro: “Lei – ricorda ancora il giudice Camassa - che scopre un nuovo mondo fatto di legalità e lealtà e non si fa più guidare dallo spirito di vendetta, ma dalla voglia di cambiare, la voglia di vedere altre donne denunciare e rifiutare la mafia”. Per sconfiggere la mafia – scrisse un giorno Rita – devi sconfiggere quella che tu porti dentro”, lei se ne liberò raccontando ai magistrati tutto quello che sapeva per averlo ascoltato

Rita Atria puntò il dito contro mafiosi e politici che si sedevano con i mafiosi. Accusò l’allora sindaco, Vincenzino Culicchia, questi uscì assolto dal processo,  oggi ottantenne, è ancora in politica, capace di fare eleggere sindaci, è vice presidente della Provincia, e sostiene, politicamente, il pm che allora lo accusò, Massimo Russo, oggi assessore alla Sanità e candidato in pectore a sostituire il presidente Lombardo. Il Comune di Partanna dopo anni di silenzi ha deciso di seguire ufficialmente oggi pomeriggio la manifestazione indetta da Libera (alle 17 è previsto un corteo, la visita al cimitero e alle 19 la messa celebrata dal vescovo di Mazara mons. Domenico Mogavero con don Luigi Ciotti), se sarà una partecipazione di facciata lo si saprà non appena ci sarà da decidere come risolvere il problema di quella tomba senza nome. 

Nel cimitero di Partanna tutte le altre tombe recano un nome, ci sono anche quelli che furono accusati da Rita Atria, sono nomi che si incontrano anche leggendo gli atti giudiziari che sono stati realizzati grazie alla testimonianza di Rita, lei però il suo nome in quel cimitero non lo ha avuto scritto da nessuna parte. Sullo sfondo di questa storia resta un mondo politico che in generale resta sordo ai richiami lasciati da Rita Atria, “qui – dice il pm Andrea Tarondo parlando della provincia di Trapani – c’è una politica che continua a stringere mani che non dovrebbe stringere, che non rispetta la distanza di sicurezza dalla mafia e peggio ancora c’è chi nelle istituzioni non si preoccupa nemmeno di evitare che ministri stringano mani che non dovrebbero stringere

Appena lunedì scorso a Trapani è arrivato il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri a firmare un protocollo contro mafia e corruzione assieme anche ad un sindaco condannato per favoreggiamento, Camillo Iovino, primo cittadino a Valderice, o anche al presidente della Provincia Turano che di recente in Tribunale ha esternato franchezza dicendo di sapere alla pari di tanti altri che la sanità trapanese era governata da un politico discusso e  in odor di mafia, l’andreottiano Pino Giammarinaro, senza però spiegare come mai si accettava quella “inquinante presenza”. Il ministro Cancellieri, assieme al ministro Ornaghi, Beni Culturali, si sono visti andare in giro per la città con il senatore Antonio D’Alì, quel politico che secondo la Dda aiutò Matteo Messina Denaro e che dal 5 ottobre sarà sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. 

Oggi davanti al sepolcro senza nome dove riposa Rita Atria – dice Salvatore Inguì coordinatore provinciale di Libera -  siamo qui a ricordare a tutti che le mafie ci sono e sono in mezzo a  noi, ci sono i mafiosi ed i loro complici che siedono anche nei Palazzi delle Istituzioni, governano le imprese e le economie. In questa provincia di Trapani restano ancora in giro quei lupi che un giorno di settembre del 1988 azzannarono a morte Mauro Rostagno, che hanno partecipato a pianificare le stragi e gli attentati, che hanno festeggiato per la morte di Falcone e Borsellino. C’è una politica che resta fatta degli stessi uomini di sempre, quelli che usciti anche assolti dalle aule dei Tribunali non li abbiamo mai sentiti fare mea culpa e che continuano a stringere mani insanguinate. Ci danno fiducia i giovani che invece senza colpe da scontare oggi sono qui nelle terre che portano il Tuo nome per lavorare e togliere i beni ai mafiosi, che partecipano per restituire queste terre alla gente comune, onesta, operosa. Noi oggi saremo Partanna per fare promesse solenni dinanzi alla tomba di Rita: lavorare per denunziare le contraddizioni irrisolte, le occasioni sprecate, definire il cammino da riprendere, non abbiamo per nulla voglia di abbassare la guardia, chi decide di seguirci sa che non sarà una passeggiata e sa che non ci sono passerelle da attraversare”. 

Se ancora oggi il nome di Rita Atria non potrà esserci sulla sua tomba ci sarà sui terreni confiscati a Messina Denaro e nel nome di Rita torneranno produttivi

Fonte: Liberainformazione.org 26 Luglio 2012

Roghi tossici: finalmente si muove la Regione Campania




Roghi tossici: finalmente si muove la Regione Campania

Pronto il piano per contrastare i roghi che avvelenano l'agro-aversano


di Antonio Maria Mita


Campania pulita. È il nome del piano che la Regione Campania farà partire nei prossimi giorni per combattere i "roghi dei rifiuti". E ci sono già anche i primi fondi, «almeno un milione di euro – ci anticipa l’assessore all’Ambiente, Giovanni Romano – per sostenere, in maniera concreta, tutte le comunità locali che, attraverso i loro sindaci, ci chiederanno di appoggiare azioni per aumentare il controllo». Per fare cosa? «Aiuto alle associazioni di volontariato che vogliono fare presidio sul territorio, ai comuni che intendono avviare percorsi educativi nelle scuole o migliorare la videosorveglianza nelle zone urbane. E penso anche alla sorveglianza dal cielo coi "droni". Daremmo un forte segnale agli inquinatori con un effetto deterrente, perché quello che più mi colpisce della vostra inchiesta è questa sorta di libertà di azione, che sfocia poi nell’arroganza e nella prepotenza». Insomma finalmente si muove anche la Regione. «Questo è un fenomeno che va avanti da anni, il vostro lavoro, la dovizia di particolari, ha acceso i riflettori. Lei non ha l’idea delle mail che mi arrivano ogni giorno».  

È quindi d’accordo con l’iniziativa del ministro dell’Ambiente Clini? 

Giudico molto positivo che abbia deciso di coordinare, almeno in questa fase iniziale, le iniziative. La nostra terra ha bisogno di questo interesse. Cominciamo ad impostare le strategie sapendo che abbiamo di fronte un nemico. Sono campani solo per origine topografica ma non lo sono nell’animo, perché un campano non si sognerebbe mai di avvelenare la propria terra.  

Ha già parlato col ministro? 

Domani andrò al ministero a dire che sono pronto per fare la mia parte, ho qualche idea, la metto sul tavolo, ditemi come può essere funzionale al disegno complessivo.  

Che ne pensa dei dati sull’aumento di casi di tumore? 

Non si può più negare, altrimenti si è complici. C’è un rapporto diretto tra inquinamento e patologie, lo confermano i dati. Al presidente Caldoro, che è anche commissario regionale per la sanità, chiederò di mettere in rete tutti i dati, a disposizione di chi poi si deve occupare di eliminare la cause.  

Ma a chi tocca intervenire? 

L’istituzione più vicina ai cittadini e che ha compiti di prevenzione e di repressione è il sindaco. Non perché si voglia sovraccaricarlo e penalizzarlo, ma perché è sicuramente il primo protagonista di un’azione di controllo che, diciamo la verità, al momento non c’è.  

Perché? 

Faccio il sindaco anche io e capisco quanto sia difficile controllare un territorio. Quindi penso, e voglio pensar bene, che questa difficoltà abbia un po’ scoraggiato le istituzioni locali.  

A pensar bene... Ma ci sono molte storie di interessi e collusioni. 

È fuor di dubbio perché ne parlano le cronache giudiziarie. Se ci sono forme di devianza, di connivenza, di colpevole omissione legate ad attività criminali, bisogna agire subito e rimuovere quegli amministratori. Ma ci vorrebbe anche un inasprimento delle pene: e pene certe. Serve una reazione forte, per ristabilire il rispetto delle regole. Lo Stato deve fino in fondo fare la sua parte.  

Perché adesso non la sta facendo? 
Le attività criminali si battono solo se c’è un coordinamento tra le forze di investigazione che operano sul territorio. Come esiste il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, si potrebbe istituire un comitato permanente per le due province, dove periodicamente ci si scambiano informazioni, si coordinano le attività, si fa massa critica delle risorse a disposizione.  

C’è poi da bonificare il territorio... 

Il piano delle bonifiche è chiuso. Verrà adottato nella prossima giunta per la fase della pubblicazione. E tenendo fede agli impegni presi con Bruxelles, entro la fine dell’anno sarà operativo.  

Ma ci sono i soldi per farlo? 

Ci sono 220 milioni dell’obiettivo 1.2 del Por, finora non utilizzati per la procedura di infrazione della Ue. Ho già un piano immediatamente operativo e cantierabile sui primi 60 siti quasi tutti nella "terra dei fuochi". A settembre andrò a Bruxelles per chiedere di anticipare di qualche mese. Ci sono poi altri 150 milioni del Fas. E anche 100 milioni dei 282 di compensazioni ambientali, previsti per i comuni che sono sedi di impianti.  

Resta la questione dello smaltimento dei rifiuti speciali. La Campania continua a non avere impianti.

Il problema è grosso. Ricordiamo che i rifiuti speciali sono il triplo di quelli urbani, circa 20mila tonnellate al giorno. Anche per questi abbiamo concluso il piano, una delle poche regioni. Non voglio fare polemica, ma se avessimo già avuto gli impianti di smaltimento, discariche o termovalorizzatori, probabilmente una buona parte dei rifiuti che vengono gettati e bruciati l’avremmo smaltita con tutte le norme di sicurezza. Mi permetto di dire a tutti quelli che ancora si ostinano a dire sempre "no", che ogni qual volta si impedisce la realizzazione di un impianto, in maniera del tutto involontaria si finisce per dare una mano a chi in questa situazione di caos ci sguazza, creando un sistema alternativo che nella maggior parte dei casi è di natura camorristica.

Tratto da Avvenire

Fonte: Liberainformazione.org 25Luglio 2012

Vent'anni fa moriva la “picciridda dell'antimafia”






Vent'anni fa moriva la “picciridda dell'antimafia”


Domani manifestazioni a Roma e Partanna per ricordare Rita Atria




da redazione di Liberainformazione

Erano passati pochi giorni dalla strage del 19 luglio di via D'Amelio, in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Rita Atria, giovane testimone di giustizia di appena 17 anni aveva trovato nel magistrato siciliano un padre, una guida nella difficile scelta di raccontare i retroscena malavitosi della sua famiglia. Rinnegata dalla madre, rimasta sola, Rita fu mandata sotto protezione a Roma, in viale Amelia. Un nome molto simile a quello di via D'Amelio. Caduta nello scoramento dopo l'omicidio di Borsellino, sentitasi abbandonata da uno Stato in cui aveva creduto, ma che si dimostrava incapace di proteggere – anche psicologicamente – la giovanissima collaboratrice, Rita decise di farla finita. Il 26 luglio del 1992 si gettò dalla finestra dell'appartamento romano. 

Fu seppellita a Partanna, il suo paese natale, e il suo nome fu subito dimenticato. La memoria, tuttavia, è sopravvissuta alla tragedia di Rita Atria. Nel 1994 nasceva l'associazione che ne porta il nome, fondata da giovani attiviste siciliane – tra queste Nadia Furnari – che trovò l'appoggio di Piera Aiello la cognata di Rita, anch'essa collaboratrice di giustizia. Domani, per il ventennale della morte della “picciridda dell'antimafia” l'Associazione Rita Atria, come ogni anno da 18 anni, organizza un appuntamento a Roma, in viale Amelia e – in concomitanza a Partanna. Qui, si legge in una nota dell'associazione: «I giovani, dopo vent’anni, hanno deciso di impegnarsi nel solco tracciato da Rita e l’hanno voluto fare aderendo all’associazione antimafie che da 18 anni porta il suo nome. Ecco il regalo più bello per Rita». 

Con loro saranno presenti Santo Laganà, Nadia Furnari, il direttore di Telajato Pino Maniaci, la giornalista Graziella Proto, Michela Buscemi, testimone di giustizia al maxiprocesso di Palermo, il fotografo Mario Spada e Amico Dolci figlio del sociologo Danilo Dolci.  





Fonte : Liberainfromazione.org  25 Luglio 2012

Campania, pronto il piano anti roghi





Campania, pronto il piano

anti roghi

Ieri incontro a Roma tra il Ministro dell'Ambiente e il Comandante del Noe



Tratto da Avvenire


Il piano per combattere i “roghi dei rifiuti” è pronto e scatterà tra pochi giorni. Sicuramente in settimana. Una decisione operativa presa ieri dopo l’incontro a Roma tra il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini e il comandante del Noe, il generale Vincenzo Paticchio. Top secret sul contenuto del piano. «Non scopriamo le carte anticipatamente per non fare un favore alla camorra», dicono ambienti del ministero spiegando il massimo riserbo. Tempi rapidissimi, dunque, come annunciato da Clini nell’intervista ad Avvenire lo scorso 20 luglio. Prima l’invio del Noe a Napoli per raccogliere documentazione e informazioni recenti sulla drammatica situazione. Poi ieri la relazione dei carabinieri al ministro e l’immediata predisposizione di un piano.  


Si vuole fare presto, anche perché aumenta la mobilitazione dei cittadini della “terra dei fuochi”. Ieri, infatti, il ministero dell’Ambiente, ma anche quello dell’Interno, le prefetture di Napoli e Caserta e altre istituzioni locali, sono state bersaglio di un mail mobbing, più di cento messaggi, tutti con lo stesso testo, inviati da abitanti dell’area tra le province di Napoli e Caserta per chiedere «a tutte le istituzioni di definire immediatamente azioni coordinate a breve e lungo termine per porre fine ai roghi e all’accumulo di rifiuti, prevedendo anche l’intervento dell’esercito, visto che abbiamo l’impressione di essere in guerra contro usurpatori della legalità, della nostra salute e della bellezza dei nostri territori».  Lo scrivono, tra l’altro, da Afragola, da Volla, da Giugliano, da Capua, da Santa Maria la Fossa, paesi napoletani e casertani, a conferma della vastità del dramma. Parlano di «insostenibile situazione di attentato all’ambiente e quindi alla salute dei cittadini». 



Denunciano che «nulla è stato fatto di concreto per prevenire e reprimere questo inqualificabile fenomeno». E si chiedono: «Dobbiamo tutti morire o evacuare in veste di profughi ambientali?». Tornando ad accusare: «Qui è in atto un genocidio contro un intero popolo». E proprio per questo chiedono l’intervento dell’esercito, peraltro ancora presente a presidiare il termovalorizzatore di Acerra, le discariche e gli impianti Stir. Parole dure ma dette con molta dignità, evitando esasperazioni. Come i contenuti della prima assemblea-presidio del "Coordinamento comitati fuochi" convocato per domani alle 18,30, presso la parrocchia di S.Paolo Apostolo a Caivano, per poi spostarsi in via Cinquevie, presso il campo rom, gruppo coinvolto come manovalanza nei roghi. Senza alcune intenzione di criminalizzazione. Anzi proprio il contrario. 



Il coordinamento intende infatti lanciare due messaggi: «Innanzitutto di collaborazione e dialogo con i rom, senza demonizzare quelli che sono, a nostro parere, l’anello debole della catena. E poi ribadiamo il nostro convinto no alle ronde, le quali nel nostro territorio potrebbero solo essere pericolose». Il rischio che la camorra, responsabile dei guasti del territorio con rifiuti e quant’altro, provi a cavalcare la protesta è molto concreto. Lo stesso Coordinamento ha ieri presentato una denuncia-querela contro i presidenti della Regione e delle due province, gli assessori competenti, e i sindaci dei comuni coinvolti, per omissione d’atti d’ufficio, per non aver impedito roghi e scarichi.  Insomma la gente si sta attivando e anche per questo al ministero hanno dato una secca accelerazione agli interventi. 



I dati raccolti dal Noe sono, infatti, assolutamente espliciti. In primo luogo quelli dell’istituto "Pascale" sul fortissimo aumento della mortalità per tumore nelle province di Napoli e Caserta. E poi quelli, già da tempo in possesso dell’Arpac, azienda regionale per l’ambiente, sugli oltre tremila siti inquinati dai rifiuti, vecchie e nuove discariche, già bruciate o pronte per i roghi, fonti di diossine e altri veleni.

Fonte Liberainformazione.org  24 Luglio 2012




Il cardinale Sepe: 

«Non vinca l'egoismo, denunciare sempre»



Tratto da avvenire

Dietro al dramma dei “roghi” e della cattiva gestione dei rifiuti in Campania ci sono «corposi esempi di egoismo, di individualismo e di interesse personale, mentre stenta ad affermarsi la vocazione al bene comune». Per questo la Chiesa «non smetterà di denunciare, di richiamare tutti alle proprie responsabilità». Così il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, riflette sulle vicende che Avvenire sta denunciando dalla “terra dei fuochi”. Ma invita anche alla speranza, perché «va prendendo corpo una voglia di cambiamento, con una presa di coscienza della gravità dei comportamenti e, quindi, della responsabilità che compete a ciascuno».  


Eminenza, lei nel 2008 disse che «la tragedia dei rifiuti» era «impropriamente chiamata “emergenza”». Dopo quattro anni non si parla più di emergenza e, va riconosciuto, almeno nella città di Napoli la situazione è migliorata. Ma nella cosiddetta “terra dei fuochi”, rimane sempre drammatica. Eppure sembra esserci disinteresse. Perché? 



Nel 2008 il grido di denuncia della Chiesa di Napoli e della Campania era pienamente motivato dalla insostenibilità di una situazione che comprometteva fortemente la salute dei cittadini, offrendo al mondo intero l’immagine pietosa di una città tradita e offesa. Oggi, come lei ha ricordato, senza voler giustificare niente e nessuno, lo “spettacolo” nella città, benché non sia quello ideale, è senz’altro decente. Non così nelle periferie e in molte aree delle province di Napoli e Caserta dove il fenomeno dei roghi deve preoccupare, soprattutto alla luce dei dati sulle patologie tumorali. Dobbiamo, dunque, riportare la verità piena dei fatti, con messaggi di speranza e di fiducia nel cambiamento, ma anche denunciando, come stanno facendo le Chiese locali, i drammi che vivono quelle popolazioni.  



La lunghissima vicenda dei rifiuti è stata costellata da molte proteste dei cittadini. Però soprattutto contro l’apertura di discariche o di termovalorizzatori. Per anni, nulla o quasi contro chi scarica i rifiuti, anche tossici, e li incendia. Poche anche le denunce. Ora la voglia di reagire sta crescendo, lei percepisce un cambiamento di clima? 



Forse è questo il vero problema, che ancora esiste. Permangono corposi esempi di egoismo, di individualismo e di interesse personale, mentre stenta ad affermarsi la vocazione al bene comune. Si tende a far prevalere una strana e astratta idea di municipalismo, che sfugge ad ogni logica dell’appartenenza, senza tutelare, in assoluto, la comunità locale, perché alla fine i danni complessivi si riverberano su tutti. Lasciando da parte, quindi, il discorso delle risorse finanziarie necessarie, resta insoluta la questione strutturale delle discariche, come soluzione transitoria, e dei termovalorizzatori. E questo non è attribuibile soltanto alla responsabilità delle istituzioni o della politica, ma soprattutto di tutti e di ogni singolo cittadino, che deve rispondere del proprio operato e del mancato rispetto delle regole. Acquista, dunque, un ruolo prioritario la sfida educativa, che per la Chiesa è momento significativo dell’azione pastorale. Bisogna dire, comunque, che va prendendo corpo una voglia di cambiamento, con una presa di coscienza della gravità dei comportamenti e, quindi, della responsabilità che compete a ciascuno.  



Con la soluzione data al problema rifiuti a Napoli, il caso sembra si sia chiuso almeno sul piano politico e mediatico. Eppure proprio da vescovi e parroci della Campania continua a essere lanciato l’allarme su situazioni che permangono gravi. Lei stesso invitò «a non tacere». Ma ora, contro chi continua a scaricare e a incendiare che cosa si può fare? 



Il problema non è chiuso, perché, come ho detto prima, resta aperta la soluzione strutturale, mentre va crescendo una nuova cultura civica. È naturale, quindi, che la Chiesa si faccia interprete e portavoce dei punti di crisi che permangono, mettendo in campo attraverso le parrocchie, come già ha fatto la diocesi di Napoli negli anni scorsi, un’azione di sensibilizzazione nei confronti della popolazione e delle autorità. Con la mia lettera pastorale di giugno scorso ho detto chiaramente che “per amore del mio popolo… non tacerò”. È questa la scelta fatta dalla Chiesa locale, da ogni parroco e da ogni sacerdote: non si smetterà di denunciare, di richiamare tutti alle proprie responsabilità, di invitare tutti all’impegno per realizzare il bene comune. Lo abbiamo fatto nel passato, continueremo su tale strada, facendo sentire la voce della Chiesa per dare voce ai più deboli, per difendere gli interessi della comunità, per combattere le illegalità, i soprusi, le tante forme di violenza.  



Dietro ai roghi ci sono gli affari della camorra ma anche di imprenditori che pur di risparmiare si affidano alle criminali pratiche di “smaltimento”. Cosa dire per spiegare il danno che provocano? 



È arduo arrivare al cuore duro di chi ha scelto la strada del male, ma bisogna sempre credere in una possibile redenzione. Credo sia utile far arrivare messaggi attraverso i figli e altri componenti della famiglia, per cui è importante e preziosa l’azione educativa e formativa svolta dalla parrocchia attraverso un rapporto vivo e continuo con le scuole e le famiglie, soprattutto quelle più fragili ed esposte. In quest’ottica il Giubileo straordinario per Napoli, indetto lo scorso anno, è stato un banco di verifica, perché ha scosso le coscienze, facendo uscire tanti dall’individualismo e dall’indifferenza, in una società mortificata dal degrado, dal disservizio, dal senso di abbandono e di sfiducia. Un annuncio che, partendo da Cristo, si è proposto di convertire i cuori, spingere al cambiamento, determinare un nuovo modo di essere nella comunità, attento a un equilibrato uso delle risorse del pianeta, in un attivo impegno per la salvaguardia del creato.  



In uno dei momenti di maggiore violenza a Napoli, che vedeva coinvolti molti giovani, Lei lanciò l’appello «a consegnare i coltelli». Ed ebbe una forte risposta. Quale appello vorrebbe fare a chi attenta ugualmente alla vita avvelenando la terra, l’acqua e l’aria? 



Vorrei dire, richiamando l’ammonimento di Giovanni Paolo II in Sicilia: Convertitevi! Verrà il giorno del giudizio anche per Voi. Uscite dal tunnel della morte e imboccate la strada della vita e dell’amore per la vostra terra, per la vostra famiglia, per i vostri figli. Cristo e in suo nome la Chiesa è pronta ad aprirvi le braccia e ad accogliervi per guidarvi sulla strada della salvezza.  



C’è una responsabilità delle istituzioni e della politica? 



La loro azione è indispensabile e doverosa, ma, come ho detto nella mia ultima lettera pastorale, il recupero della vivibilità dipende soprattutto dal grado di coinvolgimento e di maturità di tutti i cittadini nella costruzione della casa comune. Per tutti, insomma, c’è una responsabilità morale, oltre che civica.  



Lei quattro anni fa, nel pieno dell’ultima crisi dei rifiuti, intitolò un suo libro «Non rubate la speranza». Oggi di fronte ai roghi dei rifiuti, alla distruzione del territorio e di un’economia, all’aumento delle morti, che sembrano davvero rubare ogni speranza, giudica necessario e possibile ripetere quell’invito? 



Non bisogna mai smettere di infondere e alimentare la speranza, come ci ha esortato Papa Benedetto XVI in un eccezionale videomessaggio inviato a conclusione del Giubileo: "…rinnovate la speranza, lasciatevi guidare dalla forza dello Spirito Santo e collaborate con rinnovato slancio alla missione della Chiesa, ciascuno mettendo a frutto i doni ricevuti, ponendoli al servizio degli altri e della edificazione dell’intera comunità…". Questo invito autorevole e premuroso ci è stato di guida nella definizione del programma pastorale, sottolineando la necessità di una fede aperta al bene di tutti, nel convincimento che il bene comune non esclude alcuna persona ed è, quindi, un traguardo legittimo e condivisibile anche per chi ha una fede diversa o non ne possiede affatto.



Fonte Liberainformazione.org 23 Luglio 2012