USURA, AFFARE MAFIOSO
di
Riccardo Christian Falcone
«Acchiappalo
per i capelli come ti dico io! Piglialo malamente a questa latrina! Digli:ha
detto lo zio che stanno ridendo sopra i morti… digli che se viene lo zio vi schiatta la faccia!».
Lo zio è
Mario Potenza, ex contrabbandiere degli anni d’oro di Michele Zaza.
Professione, usuraio.
Nel suo
appartamento popolare al vico Storto al
Pallonetto a Santa Lucia gli uomini della DIA hanno
trovato oltre 7 milioni di euro.
Un’intera giornata a picconare le mura
maestre, imbottite di banconote da 500 euro.
Un
vero e proprio tesoro. In quella casa la DIA ci è arrivata grazie alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Salvatore Lo Russo.
Altri 15 milioni di euro gli inquirenti li hanno
rintracciati e sequestrati in Svizzera.
Una
montagna di soldi, parte dei quali serviti ad avviare e portare avanti alcune
attività commerciali della Napoli bene.
Una
lista di 17 esercizi commerciali e tra essi alcuni locali della catena Pizza Margherita. Quelle parole Potenza le
suggerisce ad un suo vicino di casa, costretto a rimpiazzare nel ruolo di
recupero crediti i figli Bruno e Salvatore, entrambi finiti dietro le sbarre.
L’episodio è uno dei tanti ricostruiti nel
dossier Usura, il BOT delle mafie
presentato da Libera lo scorso 30 ottobre.
Una fotografia spietata e raccapricciante di un Paese strozzato.
Una
massa incalcolabile di ricchezza illegale, che alimenta un circolo vizioso di
soggezione psicologica e violenza fisica, che aggredisce l’economia legale, che
limita il libero mercato e la concorrenza.
Tutto in mano alle mafie.
Dal
Nord al Sud del Paese.
Stesse modalità, stesso linguaggio, stessi meccanismi.
Una
rete invisibile, un buco nero che inghiotte aziende, imprese, società,
famiglie. E che dalla crisi economica non può che trarre giovamento. Quando le
banche chiudono i rubinetti del credito, quando gli stipendi non arrivano a
sostenere le famiglie, è lì che entrano in gioco le organizzazioni criminali,
le
uniche a disporre di liquidità: tanti soldi e subito.
Una manna dal cielo. Se
non fosse che poi uscire da quella spirale diventa un’impresa quasi
impossibile.
E giù con tassi di interesse che in alcuni
casi hanno sfiorato il 1500%. E se non puoi pagare, non c’è problema: c’è la
tua casa, la tua macchina, la tua azienda. E anzi, può essere anche meglio,
perché la tua azienda diventa la lavatrice perfetta per ripulire capitali
enormi che altrimenti puzzerebbero di marcio. Tutto nelle mani dei clan. 54
secondo le Relazioni Antimafia quelli
che negli ultimi 24 mesi sono finiti in inchieste e cronache giudiziarie per
reati associativi con metodo mafioso finalizzati all’usura. C’è il gotha del
sistema criminale italiano: i Casalesi,
i D’Alessandro, i Cordì, i De Stefano, i
Terracciano, i Mancuso e chi più ne ha più ne metta.
Tutti
hanno capito che prestare soldi a interessi, sostituirsi ai vecchi strozzini di
paese, è un affare colossale.
E, come al solito, ci si sono buttati a
capofitto.
E
con questi metodi hanno accumulato una fortuna che è quasi impossibile
calcolare, perché le denunce sono poche.
Ma i
numeri di singole inchieste, come quella avviata
grazie alle dichiarazioni di Lo Russo, servono ad aprire
uno spiraglio di luce.
Sono i numeri dei sequestri: 70 milioni di euro il tesoro sequestrato al clan Moccia nel napoletano; 41 milioni di euro al clan Terracciano, emigrato in Toscana.
E sì, perché questo business le mafie lo hanno esportato in tutta Italia, con la complicità di mediatori, professionisti e intercessori vari.
grazie alle dichiarazioni di Lo Russo, servono ad aprire
uno spiraglio di luce.
Sono i numeri dei sequestri: 70 milioni di euro il tesoro sequestrato al clan Moccia nel napoletano; 41 milioni di euro al clan Terracciano, emigrato in Toscana.
E sì, perché questo business le mafie lo hanno esportato in tutta Italia, con la complicità di mediatori, professionisti e intercessori vari.
La ‘ndrangheta ha conquistato il mercato in
Lombardia, Piemonte ed Emilia. La camorra casalese il Veneto, il Friuli, il
Trentino. Dovunque c’è bisogno di soldi, loro ce li hanno. E sanno come farli
fruttare.
Dovunque c’è bisogno di soldi, loro ce li hanno.
E sanno come farli
fruttare.
In Campania, secondo l’ultima Relazione Annuale della Direzione Nazionale Antimafia, la dislocazione
dei clan camorristici che si muovono in questa direzione è varia.
Ci sono i
casalesi che ancora sfruttano il nome di Antonio Iovine per intimidire le vittime.
E poi i D’Alessandro a Castellammare di Stabia, i Moccia ad Afragola, gli affiliati ai clan
Pagnozzi, Cava e Russo in provincia di Avellino, gli epigoni dei Marandino nella Piana del Sele e i cosiddetti Garibaldi nel Battipagliese.
Una geografia criminale da far paura.
Quella
stessa paura che riduce quasi a zero il rischio per le organizzazioni e tiene
drasticamente basso il numero delle denunce. La paura, certo.
Ma
anche la vergogna, l’omertà, la mancata percezione della vittima di essere
finito in un sistema stritolante.
A volta, persino un meccanismo di dipendenza psicologica, quasi fisica, tra la vittima e l’usuraio.
Lo ha spiegato bene Ilda Boccassini, alle prese con l’inchiesta Infinito che in Lombardia ha portato a oltre 170 arresti e alla condanna con rito abbreviato di 110 persone.
A volta, persino un meccanismo di dipendenza psicologica, quasi fisica, tra la vittima e l’usuraio.
Lo ha spiegato bene Ilda Boccassini, alle prese con l’inchiesta Infinito che in Lombardia ha portato a oltre 170 arresti e alla condanna con rito abbreviato di 110 persone.
La Boccassini ha ricordato come di fronte ai
«tanti episodi di intimidazione e violenza subiti dagli imprenditori lombardi,
questi dicano "noi non abbiamo ricevuto minacce”, mentre noi sappiamo
dalle
indagini che non è così», aggiungendo
che «la classe imprenditoriale ha convenienza a rivolgersi alle organizzazioni
criminali piuttosto che allo Stato».
Per
poi concludere: «fin quando la classe
imprenditoriali
nazionale
non capirà che stare con lo Stato è più pagante che stare con l'antistato, non
penso che il
problema si risolverà domani».
E
c’è da crederle.
Fonte: Archivio Fortapàsc
La newsletter di Libera Campania mese di Novembre 2012
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