È’ di Lea
Garofalo il corpo
ritrovato in Brianza
di Marika Demaria
Avere
venti anni significa essersi appena lasciati alle spalle il mondo scolastico ed
apprestarsi a vivere una nuova fase della vita, sia essa accademica o
lavorativa. Significa uscire il sabato pomeriggio per lo “struscio” nelle vie
del centro della propria città, con le amiche o mano nella mano con il proprio
ragazzo. Significa divertirsi, guardare al futuro, lottare per costruirselo,
per arrivare lì, a raggiungere i propri sogni. Ieri, martedì 4 dicembre, una
ragazza di Petilia Policastro, un paesino del crotonese, ha compiuto 21 anni.
Si tratta di una giovane che non sta vivendo la normalità della vita, ma che si
sta comportando in maniera eccezionale, speciale: Denise Cosco.
Il
suo nome negli ultimi mesi è rimbalzato sulle pagine dei quotidiani,
all’interno dei servizi dei telegiornali nazionali: è lei che con le sue
denunce, con le sue deposizioni in aula, ha dato un nome, un cognome, un volto
agli assassini di Lea Garofalo, sua madre. Ma quelle persone Denise le conosce
molto bene, da quando è nata: perché una di loro è suo padre Carlo, altre due
sono gli zii Vito e Giuseppe Cosco. Poi ci sono Rosario Curcio e Massimo
Sabatino e infine lui, Carmine Venturino, con cui era nata una simpatia. Denise
ha raccolto a piene mani l’eredità che le ha tramandato sua mamma: il coraggio
della denuncia, di ribellarsi al sistema della ‘ndrangheta. Hanno vissuto anni
di solitudine, in alcuni periodi privati anche delle loro generalità e per
questo non più libere cittadine, non più vive. Come se non esistessero, come se
fossero invisibili. Ha fatto una scelta coraggiosa Lea Garofalo, figlia di un
boss della ‘ndrangheta, cresciuta in una famiglia in cui vige la regola che “il
sangue si lava con il sangue”, innamoratasi a 14 anni di un ragazzo con cui
sperava, a Milano, di poter finalmente costruire una famiglia vera, non
svuotata del suo significato e riempita del senso delle parole mafiose. Così
non è stato, ma Lea Garofalo non c’è stata. Ha denunciato, perché lei a sua
figlia Denise voleva regalare un futuro migliore, diverso. Ha preso per mano la
sua creatura e fino all’ultimo giorno della sua vita ha respirato per lei, per
quella ragazza che era nata quando aveva 17 anni e con cui era cresciuta come
se fossero sorelle.
L’epilogo ha una data ben precisa: 24 novembre
2009. La 35enne testimone di giustizia quella sera, a Milano, sarà rapita,
torturata dai suoi aguzzini che volevano sapere cosa lei avesse raccontato di
compromettente (per loro) ai Carabinieri, uccisa e portata in un terreno a San
Fruttuoso, a Monza. I risultati
dell’esame del Dna mutano l’epilogo – ma non certo la sua brutalità – e
raccontano che Lea Garofalo non fu uccisa con un colpo di pistola alla nuca e
sciolta in cinquanta litri di acido, ma strangolata e che il suo cadavere fu
bruciato. I resti ritrovati di recente in quel terreno, così maledettamente
vicino al cimitero di Monza dove il primo aprile è stata deposta una targa in memoria
di Lea Garofalo quale emblema di coraggio e di lotta per la legalità,
appartengono alla donna. La radiografia dei denti combacia con un referto
analogo in possesso della figlia Denise Cosco.
La
giovane, che vive sotto protezione, potrà avere un feretro da accarezzare,
potrà donare a sua mamma un funerale degno di tale nome e una sepoltura che
finalmente regali a Lea la meritata pace e a Denise la serenità di aver avuto
giustizia. Una parola che è stata possibile scrivere solo grazie al coraggio
della ventunenne, che con forza leonina ha messo in gioco la sua esistenza, ha
rivissuto la propria vita raccontandola dietro un paravento in un’aula di
tribunale, ha puntato il dito contro i carnefici di sua madre. Denise ha
vergato una pagina fondamentale dell’antimafia, è l’emblema della coerenza, della
determinazione, dell’amore che una figlia prova nei confronti della propria
madre. Quella pagina Denise l’ha scritta e la sta continuando a scrivere. Ma la
lotta alle mafie non è opera di navigatori solitari come ci ricorda don Luigi
Ciotti e quindi la giovane va accompagnata, va sostenuta, va amata, va
protetta. La sua lotta deve essere la lotta di tutti noi. Solo così Denise
potrà finalmente, un giorno, spiccare il volo alla ricerca della sua libertà.
Fonte: Narcomfie.it 5 Dicembre 2012
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