LAZIO
E CAMPANIA, CONFISCA RECORD DELLA DIA PER OLTRE
90 MILIONI DI EURO
di Norma Ferrara
E’ dall’inizio degli anni ’80 che boss dai
nomi altisonanti come Bardellino, Magliulo, Moccia, Alvaro, Renzivillo, il gotha della criminalità organizzata del
bel Paese, stabiliscono residenza ed affari nel Lazio circondando province,
comuni e città e penetrando nella stessa Capitale. Oggi la direzione
investigativa antimafia, su provvedimento del tribunale di Frosinone, mette a
segno una confisca di beni per oltre 90 milioni di euro nel Lazio e in Campania
a persone "contigue" al clan dei casalesi. Si tratta della più grossa
confisca ai danni delle organizzazioni camorristiche nel Lazio.
L'operazione prende il nome da una jaguar "Verde bottiglia" che il
boss dei casalesi, Sandokan, regalò a quello che gli investigatori individuano
come il suo referente nel basso Lazio, Gennaro De Angelis, che secondo gli
inquirenti è stato «capo indiscusso
autonomamente operante fra Frosinone, Gaeta, Cassino, e al contempo collegata e
federata con il clan dei casalesi». Il provvedimento di oggi conclude
l’attività investigativa che nel marzo del 2011 portò al sequestro dei beni
di Gennaro De Angelis, Aladino Saidi e
Antonio Gabriele e si colloca a cavallo fra Campania e Lazio. L'accusa è di
essere contigui alla camorra.
I beni confiscati. I beni acquisiti dallo Stato sono localizzati
tra Castrocielo, Sora, Rocca di Mezzo, Cassino, Campoli, Gaeta, Arpino e Roma e
sono costituiti da 20 società e relativi beni aziendali e immobili, 26
fabbricati, 2 ditte individuali, 28 terreni, 19 auto (tra cui le Ferrari) e 114
rapporti finanziari. Un'operazione quella condotta a partire dal 2009 dalle
forze dell'ordine e dalla magistratura che individuò un traffico di autovetture
ma che dietro svelò dinamiche e importanza
criminale dei boss nel basso Lazio.
Raccontano i collaboratori di giustizia
e in particolare Domenico Bidognetti, al vertice del clan dei casalesi,
e luogotenente di Francesco Bidognetti "……. Mi si chiede se conosco tale
De Angelis Gennaro. Le rispondo che ho conosciuto personalmente il predetto De
Angelis. Lo incontravo spessissimo a Casal di Principe in quanto era persona di
Bidognetti Francesco, anche se non abitava più a Casale, ma nel basso Lazio,
tra Formia e Gaeta….”, e “…Egli era in ottimo rapporto anche con Frasceso
Schiavone “Sandokan” tanto che una volta le regalò una jaguar verde bottiglia»
«Tornando al De Angelis posso dirle -
continua Bidognetti - che io stesso mi sono recato in Formia sul finire degli
anni ’80 per fare degli appostamenti
finalizzati a rintracciare ed uccidere componenti del clan Bardellino».
E ancora, nella richiesta fatta dai
magistrati del tribunale di Frosinone su De Angelis vengono riportate le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia,
Carmine Schiavone che afferma: «La parte meridionale della provincia di
Latina era affidata a Gennaro De Angelis, capozona di Gaeta, Formia e
Terracina. Ufficialmente De Angeli vendeva autovetture, insieme al fratello a
Cassino, ma sino alla data del mio pentimento, rappresentava per noi il punto
di riferimento per tute le attività di penetrazione e investimento nel sud-
pontino e … - per questa attività – veniva ricompensato con 50/60 milioni al
mese. Fra i suoi compiti principalmente quello di fornirci notizie utili sulle attività dei
cantieri edili che avevano dei lavori nella zona di sua competenza, in modo che
potevamo intervenire con gruppi armati per compiere estorsioni. Il De Angelis
dava appoggio logistico ai gruppi armati trovando case, garage e altri luoghi
dove avere ospitalità ovvero nascondersi....». Il controllo del mercato delle
automobili, una sorta di “monitoraggio” del settore edilizio e la “base”
logistica per le latitanze dei boss della camorra: questo il canale operativo
che collegava, secondo l'inchiesta, Gennaro De Angelis. Un controllo del
territorio che quell'inchiesta portata a termine nel 2009 descriveva come
“automatico” quasi spontaneo, tanto che il ricorso alla violenza era un fatto
“rarissimo”. Solo un mese fa a Frosinone
l'appuntamento “Per una regione libera da mafie e corruzione” ha portato alla
luce la necessità di fare breccia nel muro del silenzio che nasconde i fatti,
la gravità e le denunce del sistema criminale che opera nella provincia.
L'operazione della Dia portata a termine oggi con questo provvedimento dimostra che sono gli stessi atti ufficiali
della magistratura a raccontare di mafie a Frosinone e nel basso Lazio. E la
collocazione fra le confische record realizzate dall'intelligence antimafia in
questi anni spiega con quanto ritardo si
continui a prendere coscienza di questo fenomeno.
Fonte: Liberainformazione.org 14 Gennaio 2013
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