La Chiesa e le mafie
di Isaia Sales
La domanda che ci ossessiona è la seguente: le organizzazioni criminali di tipo mafioso avrebbero potuto ricoprire un ruolo plurisecolare nella storia meridionale e dell’intera nazione se, oltre alla connivenza di settori dello Stato e di parte consistente delle classi dirigenti locali, non avessero beneficiato del silenzio, della indifferenza, della sottovalutazione e anche del sostegno dottrinale di una teologia che trasforma degli assassini in pecorelle smarrite da recuperare piuttosto che da emarginare dalla Chiesa e dalla società? La risposta è no.
Il comportamento della Chiesa, al di là delle intenzioni, è stato legittimante per i mafiosi. (...)
Le mafie, a loro volta, non hanno mai attaccato alcun dogma della Chiesa, non hanno avvertito nessuna
necessità di farlo. Prendiamo, ad esempio, il concetto di famiglia. La fede cattolica si è dimostrata assolutamente adattabile alla «religione della famiglia» sia nella versione del familismo amorale sia nella
versione della famiglia mafiosa; viceversa, le mafie si sono ispirate al concetto di famiglia prevalente nella dottrina cattolica, compreso l’aspetto della morale sessuale. (...)
Se la Chiesa italiana, tramite i suoi rappresentanti ufficiali ha, sul piano sociale,
indubbiamente superato i limiti del passato facendo delle mafie un nemico ufficialmente dichiarato, non ha ancora riflettuto sul fatto che molti degli uomini che dice di combattere si sentono appartenenti alla Chiesa cattolica e credono in essa.
La coscienza della gravità della questione mafiosa non è ancora consapevolezza di aver
covato in sé le stesse persone che oggi si dice di voler contrastare. La lotta non sarà
mai completa se non porta a comprendere i limiti di una dottrina e di una teologia
che ha fatto sentire a proprio agio degli assassini. Le mafie, dunque, vanno lette anche come metafora della crisi culturale del mondo cattolico in Italia e nelle regioni meridionali. Le mafie sono anche un insuccesso della Chiesa. (...)
Non si conoscono mafiosi, camorristi e ndranghetisti atei o anticlericali. Sono cattolici osservanti i peggiori assassini che l’Italia abbia mai avuto nell’ultimo secolo e mezzo.
Alcuni esprimono una religiosità superstiziosa (il segno della croce prima di ammazzare), altri una religiosità tenue (andare a Messa, osservare i precetti), altri sono dediti allo studio e alla lettura quotidiana della Bibbia e del Vangelo, altri usano libri di preghiera o si dedicano a letture religiose più sofisticate, altri ancora hanno eretto cappelle per la messa nel loro rifugio di latitanti, i più istruiti si cimentano anche con la teologia.
Appena arrestato (Bernardo Provenzano) dice: «Non sapete quello che state facendo… Sia fatta la volontà di Dio». Questa intensa religiosità la si trova tutta all'interno dei biglietti dattiloscritti (i famosi pizzini) con cui comunicava con l'esterno.
Sono il prodotto di un semianalfabeta la cui acculturazione è intessuta profondamente di religione, con frasi tratte dalla Bibbia e dai Vangeli. (...) Qualche anno prima (nel 1999) a Gioia Tauro in Calabria,
nel covo in cui Giuseppe Piromalli, uno dei capi storici della ’ndrangheta, trascorreva la sua latitanza, si era presentata agli occhi dei carabinieri la stessa scena: santini, statuette e immagini sacre dappertutto.
Mancava solo la Bibbia. (...) E quando, nel 1992, fu interrotta la lunga latitanza di Carmine Alfieri, nel covo dove si era rifugiato a Nola, in Campania, fu ritrovata una Bibbia accanto ai cd di Beethoven. (...)
In tre regioni diverse, a distanza di tempo, tre capi di diverse organizzazioni mafiose conservavano nei loro covi i segni comuni della loro religiosità. Ma non erano i soli ad avere consuetudine con i simboli e i testi della religione cattolica. (...)
Un episodio clamoroso si verifica quando papa Giovanni Paolo II visita per la prima volta Palermo nel 1982. L’auto che apre il corteo papale è guidata da Angelo Siino, il «ministro dei lavori pubblici» di Cosa Nostra.
Com’è stato possibile affiancare al papa un mafioso di quel calibro che avrebbe anche potuto ucciderlo? Siino era un provetto pilota, oltre che un devoto cattolico in ottimi rapporti con la curia di Palermo. (...)
In alcune feste religiose non si capisce se siano i boss a rendere omaggio ai santi e alle madonne in processione, o i santi e le madonne a omaggiare i boss.
Ed è singolare l’interrogativo angoscioso che si fece il prete di una parrocchia delle montagne di Monreale appena apprese la notizia dell’arresto del boss del paese: «Come faccio ora la festa?». Per la festa della Madonna dell’Arco, che si svolge il lunedì in albis, la processione parte da Napoli e arriva a Sant’Anastasia. Nel quartiere del boss Sarno, a Ponticelli, la processione parte da sotto casa sua, anche quando è in carcere.
(...)
Nella chiesa di Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, a Napoli nei Quartieri spagnoli, viene rubata nel 2003 la statua di Gesù bambino, detto Ninno d’oro.
Del furto si occupa anche la malavita organizzata. Ammette suora Elisa Villano: «Ci hanno aiutato. Ricordo che ci fu molto vicino un uomo che poi è stato ucciso. Ci disse che avrebbe fatto di tutto per trovare il piccolo Gesù. Noi abbiamo pregato per lui
tutti i giorni». (...)
I boss non vogliono rinunciare nemmeno al matrimonio religioso, anche se in latitanza, e trovano sempre preti disponibili. Il matrimonio più celebre è quello tra Totò Riina e Ninetta Bagarella, celebrato
da padre Agostino Coppola assieme ad altri tre preti. Per la ’ndrangheta è famoso il
matrimonio di Peppe Cataldo celebrato da don Giovinazzo, priore del santuario di
Polsi, poi assassinato. Il priore aprì la chiesa di notte agli sposi e ai loro invitati.(...)
Il numero di sacerdoti, frati, suore e monsignori coinvolti in rapporti con le organizzazioni di tipo mafioso non è trascurabile(...). Il primo uomo di Chiesa nella storia della criminalità di tipo mafioso
che viene processato è don Ciro Vittozzi, prete della camorra, vice direttore del cimitero di Napoli, condannato nel 1912 a sei anni nel famoso processo Cuocolo.
(...)
Ci sono stati nel passato preti uccisi per il loro rapporto con le mafie, e anche preti uccisi perché alle mafie si opponevano.
In genere si ritiene che i primi preti uccisi dalle mafie siano padre Pino Puglisi a Palermo e don Peppino Diana a Casal di Principe. In realtà non è così. Sono numerosi i preti ammazzati perché si opponevano ai capi mafiosi locali (soprattutto dopo la prima guerra mondiale, e tutti in Sicilia.
In genere si ritiene che i primi preti uccisi dalle mafie siano padre Pino Puglisi a Palermo e don Peppino Diana a Casal di Principe. In realtà non è così. Sono numerosi i preti ammazzati perché si opponevano ai capi mafiosi locali (soprattutto dopo la prima guerra mondiale, e tutti in Sicilia.
In Calabria mai un prete è stato ammazzato perché si opponeva alle ’ndrine) ma nella
storia della Chiesa non ce n’è traccia.(...) I martiri per mafia non solo la Chiesa non li
ha riconosciuti, ma ne è stata imbarazzata.
Forse tale mancanza di riconoscimento esprime ancora di più la gravità del problema che proviamo a sollevare con questo libro. Toccherà a don Puglisi rompere questa barriera? Lo speriamo, laicamente. (...)
La Chiesa ha scomunicato i comunisti, i liberali, i massoni, i divorziati, mai veramente i mafiosi. Indagare sulla natura di questo silenzio secolare della Chiesa, chiedendosi se esso sia stato superato completamente dalle posizioni di oggi e se queste ultime riguardino tutta la Chiesa o una minoranza, equivale a chiedersi se si è trattato di un silenzio impaurito o complice, di un silenzio impotente, di comune appartenenza a valori e culture condivise, o tutte queste cose insieme.
Fonte: Dossier, osservatorio sulla camorra 28 Gennaio 2010
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