LA MOZZARELLA OLIMPICA
di Edoardo Borgomeo
È la prima volta che assisto alla
preparazione della mozzarella di bufala.
Sono le undici e mezza di sera e fuori
piove a dirotto. Mi trovo in un caseificio a Castel Volturno, in provincia di
Caserta, dove di caseifici ce ne sono a centinaia.
Questo caseificio è
speciale, anche se forse non vuole esserlo, perché qui si produce la mozzarella
delle Terre di Don Peppe Diana su un bene confiscato alla camorra. Passerò il
resto della settimana lavorando su questo terreno però la prima cosa che ho
voluto fare, anche a costo di dormire poche ore, è vedere come si fa la
mozzarella.
Sono stati Mario e Massimo, due dei cinque soci della cooperativa,
che si dedicano alla lavorazione della mozzarella, ad invitarci ad assistere al
loro lavoro. Ci danno un camice e dei copri scarpe e poi ci fanno entrare nel
caseificio dove c'è già Salvatore, un ragazzo che fa l'aiuto casaro. Il
caseificio sembra una sala operatoria: Massimo, Mario e Salvatore si muovono in
sintonia, il loro lavoro è meccanico e meticoloso. Mentre loro lavorano io
guardo, un po' pigramente, una massa informe bucata qua e là: è la cagliata,
ottenuta dalla coagulazione del latte di bufala. La cagliata deve essere
lasciata maturare per alcune ore. Alcune ore, appunto, perché dentro al
caseificio il tempo non è più il tempo lineare degli orologi, ma quello della
mozzarella. Il tempo della mozzarella è scandito dai periodici
"saggi" che Mario effettua sulla pasta bianca. Prende un piccolo
catino e vi fonde una manciata di cagliata con dell' acqua bollente. Poi mette
questa pasta fusa, che già assomiglia un po' ad una mozzarella, a cavalcioni su
un bastoncino e la tira da ambo i lati per vedere come e quanto si allunga. Se
la pasta si spezza non è pronta. Verso l'una del mondo di fuori il tempo della
mozzarella inizia ad accelerare: la pasta è pronta per essere filata.
Massimo
sminuzza la pasta con una specie di mega frullatore e la ripone
in un tino metallico dove Mario la mescola con l'acqua bollente. In una specie di danza Mario gira e rigira, con l'aiuto di un bastone, quest'acqua bianca sino a farla diventare un impasto bianco e lucidissimo: una mega mozzarella. Nel momento della filatura Mario è solo mani ed occhi. L'impasto viene posto in una macchina che mozza la pasta e sputa fuori mozzarelle da 100 gr che vengono raccolte in una vasca con acqua salata. Questo procedimento si ripete per altre due volte sino all'esaurimento della cagliata. Al termine della filatura Mario inizia a ridere e scherzare, si vede che è rilassato. Massimo, più metodico, più preciso, continua a muoversi per il caseificio e sposta le vasche piene di mozzarelle in un'altra stanza. Chiama a raccolta me e gli altri cinque ragazzi che stavano assistendo alla filatura e ci chiede di aiutarlo ad imbustare le mozzarelle. Finalmente lavoriamo anche noi. Si rivela un lavoro lungo, ma non noioso, ed io ne approfitto per fare qualche domanda. Voglio scoprire il segreto della mozzarella, l'ingrediente che la rende così buona, così irripetibile. La mia curiosità fa sorridere Mario: mi spiega che ovviamente gli ingredienti devono essere di primissima qualità, ma è la maestria del casaro a fare la differenza.
in un tino metallico dove Mario la mescola con l'acqua bollente. In una specie di danza Mario gira e rigira, con l'aiuto di un bastone, quest'acqua bianca sino a farla diventare un impasto bianco e lucidissimo: una mega mozzarella. Nel momento della filatura Mario è solo mani ed occhi. L'impasto viene posto in una macchina che mozza la pasta e sputa fuori mozzarelle da 100 gr che vengono raccolte in una vasca con acqua salata. Questo procedimento si ripete per altre due volte sino all'esaurimento della cagliata. Al termine della filatura Mario inizia a ridere e scherzare, si vede che è rilassato. Massimo, più metodico, più preciso, continua a muoversi per il caseificio e sposta le vasche piene di mozzarelle in un'altra stanza. Chiama a raccolta me e gli altri cinque ragazzi che stavano assistendo alla filatura e ci chiede di aiutarlo ad imbustare le mozzarelle. Finalmente lavoriamo anche noi. Si rivela un lavoro lungo, ma non noioso, ed io ne approfitto per fare qualche domanda. Voglio scoprire il segreto della mozzarella, l'ingrediente che la rende così buona, così irripetibile. La mia curiosità fa sorridere Mario: mi spiega che ovviamente gli ingredienti devono essere di primissima qualità, ma è la maestria del casaro a fare la differenza.
Poi aggiunge: la filatura della mozzarella è un'arte. E
come tutte le arti non si nutre solo d'inventiva, ma anche di esercizio,
esperienza e tempo. È l'arte del casaro quella che ho visto prima nelle mani e
negli occhi di Mario ed è l'arte del casaro a rendere irripetibile la
mozzarella. Mario vede che non sono del tutto convinto: non riesco a credere
che non ci sia un metodo, una procedura standard che garantisce una buona
mozzarella. Ed allora fa un paragone e mentre parla muove le mani come se
stesse di nuovo mescolando la mozzarella nel tino. Fare la mozzarella è un po'
come fare l'amore.
Non si può insegnare a qualcuno a fare l'amore, non c'è una
maniera migliore per fare l'amore. Bisogna saper interpretare i ritmi, i tempi
della mozzarella, senza aver fretta di chiudere.
Le bustine piene della
mozzarella delle Terre di Don Peppe Diana finiscono in dei grandi recipienti di
polistirolo. Massimo mi tira un pennarello e mi chiede di scrivere Londra su
alcuni contenitori. Londra? "Ma queste a chi le mandate?"chiedo.
"Alle Olimpiadi". All'inizio non capisco di che parla, mi aspettavo
mi rispondesse con il nome di un ristorante o di un grande albergo. Massimo si
volge verso di me e capisce che non ci credo: "Questa la mandiamo a casa
azzurri, agli atleti italiani alle Olimpiadi".
È logico, penso, gli atleti
dovranno pure mangiare. Adesso quando leggerò dei trionfi dei campioni
italiani, delle loro medaglie, non penserò a quanto sono bravi, preparati,
determinati. Penserò a quello che hanno mangiato: la mozzarella olimpica, la
mozzarella delle Terre di Don Peppe Diana.
Fonte: Libera.it 29 Luglio 2012
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