Beni
confiscati, in Campania si preferiscono le passerelle
di Tonino Amato
Presidente Commissione Regionale Beni Confiscati
Questa settimana L’Espresso pubblica un
interessante reportage di Giovanni Tizian, dal significativo titolo “E la mafia
si tenne il tesoro”. L’autore verifica lo stato dei beni confiscati alle mafie,
fotografandone, dal nord al sud, le difficoltà nella destinazione e nella
gestione. Alla Campania sono dedicati “il camorrista se la ride” e “Campania
infelix”. Ai concreti e puntuali riferimenti di Tizian si aggiunge un quadro
complessivo tutt’altro che incoraggiante: nella nostra regione infatti, abbiamo
478 beni, quasi un terzo dei 1500 immobili confiscati, che non si possono
consegnare perché gravati da ipoteca o occupati, solo il 2% delle 367 aziende
confiscate ancora attive sul mercato, migliaia di beni mobili, innanzitutto
autovetture confiscate o sequestrate e abbandonate a custodia giudiziaria con enorme
carico oneroso. Cosa ci dicono questi dati? Innanzitutto il perpetuarsi dello
sconcio di istituti bancari che ancora assicurano ipoteche ai criminali, a
volte addirittura immediatamente a ridosso del sequestro. Quindi il buco nero
di aziende che, per la quasi totalità, dopo la confisca sono destinate al
fallimento. E se appare grave la responsabilità diretta degli istituti di
credito, sono pure evidenti le falle normative, la macchinosità burocratica e
la complessità giudiziaria, aggravate dal nuovo e nefasto Codice Antimafia. Cosa
dire poi del braccio operativo del governo, l’Agenzia Nazionale? Può contare in
tutt’Italia su poco più di 30 unità lavorative, dovendo così necessariamente
venir meno a ruoli fondamentali quali la funzione di raccordo tra le diverse
istituzioni coinvolte.
La sede distaccata di Napoli è tutt’oggi semi
clandestina, aperta a Castel Capuano ma mai inaugurata o visitata dal Ministro
Cancellieri, con pochissimi uomini e ancor meno mezzi.
Anche gli enti locali
hanno grandi responsabilità, a partire dalla Regione che ancora non ha
richiesto un solo bene confiscato che pure per legge potrebbe esserle destinato,
incidendo così sulla spesa dei fitti passivi.
La stessa situazione si ripete
per le province, mentre la maggior parte dei comuni continua a non
pubblicizzare nemmeno il patrimonio confiscato a sua disposizione.
Serve allora
un deciso cambio di rotta a partire da modifiche della normativa nazionale per
finire con la piena applicazione della nuova normativa regionale. Perché la
giunta Caldoro ancora non ha dato seguito a quanto previsto dalla legge 7/2012
pure approvata all’unanimità? Perché tanti ritardi nella costituzione dell’osservatorio
regionale e dello specifico ufficio per le aziende confiscate, nell’emanazione
del bando per il sostegno a progetti di riutilizzo, nella definizione di premialità
per progetti sui beni confiscati nell’ambito degli interventi previsti da FSE,
FESR e PSR?
Note dolenti anche dal comune di Napoli: ancora si attende il nuovo
regolamento per l’assegnazione dei beni e addirittura ci sarebbero enti come la Fondazione Pascale
pronti a investire per realizzare all’interno di un immobile confiscato il registro
tumori. Come è possibile non seguire e sostenere queste iniziative? Nel
frattempo si corre il rischio di abbandonare nuovamente l’unico terreno
confiscato della città, a Chiaiano, che se riutilizzato avrebbe positive
ricadute su Scampia.
La verità è che, ancora oggi, pure in Regione, in tanti
comuni e municipalità, sui beni confiscati si agisce in maniera approssimata e
sfilacciata.
E ancora resistono zone d’ombra a porre ostacoli e difficoltà. Non
basta acquistare i pacchi alla camorra, ci si dovrebbe adoperare perché quel
modello di economia sociale possa essere rafforzato ed esportato.
Per tanti,
invece, resta solo l’occasione di passerelle mediatiche.
Fonte: La Repubblica.it Inserto Napoli 15 Dicembre 2012
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