Morto
che parla.
Il racket delle pompe funebri
di Laura Galesi
Alla fine nella bara ci volevano mettere proprio lui che negli anni ne aveva visti tanti di defunti. Enzo ha 47 anni. È un ex imprenditore di onoranze funebri, adesso operatore del settore. È di San Giorgio a Cremano, nell’hinterland partenopeo. Già nel 1999 ha parlato del racket della camorra nei servizi ai defunti. «Ho denunciato molte famiglie di camorristi che, nella provincia napoletana, gestivano il settore. Sono stato minacciato e da molti anni vivo sotto scorta». Enzo ha raccontato a «Narcomafie» il sistema ben oleato di controllo della Camorra. «Spesso inizia dagli ospedali. Il barellista, l’infermiere o il medico legale avvisano l’agenzia funebre di riferimento. Il barellista ci guadagna fino a 100 euro. A Torre del Greco, per esempio, ci sono quattro agenzie differenti, ma nessuna viene pubblicizzata. Lo scopo è di fare credere alla gente che le agenzie sono tutte uguali e quindi sceglierne una o un’altra fa lo stesso. In realtà il sistema è regolato dalle famiglie della camorra».
Enzo è diventato imprenditore a 35 anni e con le minacce ha dovuto convivere da subito. «Lavoravo su tutta la Regione. Non avevo vincoli territoriali. O almeno così credevo. Perché il problema non è solo la camorra, ma anche le imprese che vi si affidano per la gestione del lavoro. Quello che mi sentivo dire spesso è: il morto è nostro». E infatti. Se il povero defunto moriva in una città diversa da quella della sepoltura, il meccanismo camorristico scattava immediatamente. Una sentinella dall’ospedale informava la ditta di riferimento che, a sua volta, attivava immediatamente i camorristi del territorio. Obbligando le malcapitate famiglie a pagare una tassa di trasporto del feretro per ogni Comune attraversato dal carro. Più facoltoso è l’estinto, maggiore sarà la tassa. E se ad aggiudicarsi il lavoro è una ditta estranea? In quel caso, le aziende della camorra si occupano della bara e di tutto quello che riguarda quella città. Poi la salma viene trasportata nella nuova città e affidata alla ditta che aveva preso il lavoro. La legge in materia di trasporto delle salme è molto chiara. I Comuni hanno l’obbligo del rispetto della normativa (Legge 12/01 e Dpr 285/90) che definisce la sicurezza sanitaria e tutela la difesa delle attività dalle ingerenze malavitose. «Nel 1999 – continua Enzo – ho avuto impedimenti di apertura di aziende e di lavoro. Non volevano neanche farmi aprire. E allora mi sono ribellato a questo sistema che incatena le persone perbene e la libera concorrenza. L’anno dopo la mia denuncia sono state arrestate una trentina di persone. I processi però continuano. Ho fatto tanti nomi. Denunciato tante situazioni. Però questi malavitosi hanno chiesto il rito abbreviato. La mia paura, è che fra pochi anni saranno fuori. Mi chiedo che cosa succederà. Purtroppo sono molto solo. Gli altri colleghi del settore non denunciano. Al processo di Torre del Greco, dove sono stati accusati 18 camorristi e imprenditori collusi, non si è presentato neanche colui che aveva fatto partire l’operazione. Ma se fossimo tutti uniti, questo sistema morirebbe presto». Era la fine negli anni Novanta quando Enzo va a fare un servizio a Castelvolturno. Gli vengono tolti i documenti dai camorristi locali. Era fuori zona e non poteva lavorare. «Sono andato dai Carabinieri e ho raccontato tutto. Ho denunciato. Quello è stato il primo funerale sotto scorta che ho fatto. Non pensavo che dopo più di dieci anni le cose sarebbero state ancora così».
Enzo è diventato imprenditore a 35 anni e con le minacce ha dovuto convivere da subito. «Lavoravo su tutta la Regione. Non avevo vincoli territoriali. O almeno così credevo. Perché il problema non è solo la camorra, ma anche le imprese che vi si affidano per la gestione del lavoro. Quello che mi sentivo dire spesso è: il morto è nostro». E infatti. Se il povero defunto moriva in una città diversa da quella della sepoltura, il meccanismo camorristico scattava immediatamente. Una sentinella dall’ospedale informava la ditta di riferimento che, a sua volta, attivava immediatamente i camorristi del territorio. Obbligando le malcapitate famiglie a pagare una tassa di trasporto del feretro per ogni Comune attraversato dal carro. Più facoltoso è l’estinto, maggiore sarà la tassa. E se ad aggiudicarsi il lavoro è una ditta estranea? In quel caso, le aziende della camorra si occupano della bara e di tutto quello che riguarda quella città. Poi la salma viene trasportata nella nuova città e affidata alla ditta che aveva preso il lavoro. La legge in materia di trasporto delle salme è molto chiara. I Comuni hanno l’obbligo del rispetto della normativa (Legge 12/01 e Dpr 285/90) che definisce la sicurezza sanitaria e tutela la difesa delle attività dalle ingerenze malavitose. «Nel 1999 – continua Enzo – ho avuto impedimenti di apertura di aziende e di lavoro. Non volevano neanche farmi aprire. E allora mi sono ribellato a questo sistema che incatena le persone perbene e la libera concorrenza. L’anno dopo la mia denuncia sono state arrestate una trentina di persone. I processi però continuano. Ho fatto tanti nomi. Denunciato tante situazioni. Però questi malavitosi hanno chiesto il rito abbreviato. La mia paura, è che fra pochi anni saranno fuori. Mi chiedo che cosa succederà. Purtroppo sono molto solo. Gli altri colleghi del settore non denunciano. Al processo di Torre del Greco, dove sono stati accusati 18 camorristi e imprenditori collusi, non si è presentato neanche colui che aveva fatto partire l’operazione. Ma se fossimo tutti uniti, questo sistema morirebbe presto». Era la fine negli anni Novanta quando Enzo va a fare un servizio a Castelvolturno. Gli vengono tolti i documenti dai camorristi locali. Era fuori zona e non poteva lavorare. «Sono andato dai Carabinieri e ho raccontato tutto. Ho denunciato. Quello è stato il primo funerale sotto scorta che ho fatto. Non pensavo che dopo più di dieci anni le cose sarebbero state ancora così».
Fonte: Narcomafie.it 24 Luglio 2012
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